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giovedì 25 aprile 2019

ARIECCOCI...

Ciao a tutti, come va?

Credo che il 25 aprile sia una data particolarmente adatta per scrivere un post che analizza CANI SCIOLTI 6, il primo albo a fumetti italiano che esce in edicola raffigurando la rivolta di Stonewall... E cioè il momento storico che ha dato il via al moderno movimento di liberazione omosessuale moderno.  Anche perchè, pur essendo una tappa abbastanza importante nella rappresentazione dell'omosessualità nel fumetto italiano, non ne sta parlando praticamente nessuno.

D'altra parte nulla accade per caso, e se il fumetto italiano si trova in una determinata situazione è anche perchè le poche volte che tenta di fare qualcosa di moderatamente nuovo può essere bellamente snobbato da chi, in teoria, dovrebbe valorizzarlo. Però, evidentemente, quando qualcuno prova a parlare di argomenti LGBT è sempre meglio non evidenziarlo troppo, per non fare la figura di quelli troppo schierati... O magari perchè, in realtà, si è schierati dalla parte opposta...

Ad ogni modo, andando a parlare dell'albo in questione, devo dire che la prima cosa che ho notato è stata la copertina. Nel senso che quando era stata pubblicata sulla quarta di copertina del numero precedente mi aveva colpito molto il fatto che, fra i rivoltosi di Stonewall, non ci fossero persone di etnia ispanica o afroamericana, e infatti ne avevo parlato anche su questo blog (CLICCATE QUI)...

Se non che, *MAGIA*, sulla copertina che è andata effettivamente in stampa i colori della pelle dei rivoltosi sono stati cambiati! Dato che nessuno mi ha contattato per farmi notare che il mio suggerimento è stato accolto, anche se so che questo blog lo leggono in parecchi che lavorano per la Bonelli (e so che a volte lo legge anche Gianfranco Manfredi, visto che di tanto in tanto ha pure interagito con me), non posso sapere se questa decisione ha avuto qualcosa a che fare con la mia osservazione o se si tratta solo di una coincidenza... In ogni caso direi che la cosa importante è che in copertina le cose siano cambiate, soprattutto considerando il periodo storico in cui stiamo vivendo.


In compenso la scritta sulla vetrina del locale è rimasta "Stonewall" e non "The Stonewall Inn", forse perchè era pià complicata da modificare visto che il vetro era rotto? Mistero... Anche perchè all'interno la vetrina viene raffigurata con la scritta giusta...

Ad ogni modo per raffigurare la location all'interno della storia, in generale, sono state usate delle foto di riferimento corrette... Anche se... Insomma... Siamo a New York e di fianco al palazzo ci sarebbe un palazzone, e non una palazzina a tre piani tipica della skyline di Lanciano, diciamo... Però ci sta che magari il disegnatore abbia preso una cantonata, e che magari alcune foto in notturna potessero trarlo in inganno...

Spiace un po' che, la prima volta che lo Stonewall Inn viene rappresentato in un fumetto italiano, non si sia potuto fare a meno di "provincializzarlo" in questo modo, ma nella vita c'è di peggio (come scoprirete continuando a leggere questo post).

 Di buono c'è che, per caratterizzare gli avventori del locale con cui i protagonisti hanno a che fare, il disegnatore Luca Casalanguida si sia ispirato alle foto dell'epoca. E questo direi che è particolarmente apprezzabile... Anche perchè credo che sia la prima volta in assoluto che i soggetti di quelle foto sono diventati dei personaggi a fumetti...


E comunque bisogna anche rendere merito allo sceneggiatore Gianfranco Manfredi per aver provato a spiegare che cos'era lo Stonewall Inn, quali erano i suoi rapporti con la mafia, perchè ci fu la rivolta e tutto il resto... E anche questa, forse, è stata la prima volta al mondo che in un fumetto la questione è stata affrontata in questi termini, e senza mitizzare troppo un locale che - per quanto importante nella movida gay newyorkese di quel periodo - restava abbastanza losco... E in effetti, in questo fumetto, si lascia al lettore la libertà di interpretare la retata della polizia che diede il via al tutto... E anche questo è un approccio apprezzabile...

Poi, in realtà, le pagine dedicate a questa vicenda sono davvero poche, anche perchè si tratta di un flashback raccontato dal personaggio di Milo, che alla fine degli anni Ottanta ricorda il suo giugno del 1969, mentre con la sua comitiva di amici storici si prepara a celebrare il matrimonio (ovviamente etero) di due di loro. Alla fine, dal punto di vista narrativo, sembra quasi che il racconto di Stonewall (e il suo epilogo tragico) serva giusto per mettere in risalto l'happy ending etero di cui sopra.

Comunque penso che sia il caso di andare con ordine...

E cioè da quando, dopo aver raccontato le sue esperienze allo Stonewall a partire dai giorni precenti alla rivolta,  Milo comincia a raccontare anche quello che successe dopo, e il fatto che in breve tempo gli omosessuali iniziassero ad emanciparsi e a scegliere di essere più visibili...

E ovviamente anche Milo, il protagonista della vicenda, inizia a vivere pienamente e pubblicamente la sua storia con Toni, il ragazzo che ha conosciuto nel numero 5 della serie e che lo ha introdotto alla vita gay di New York... Baciandosolo anche in strada nel momento di esaltazione generale...

Tuttavia, siccome questo è un albo Bonelli, a questo punto scatta implacabile la classica trovata "tragico-punitiva", che - volente o nolente - serve a ribadire i soliti concetti tranquillizzanti per il pubblico storico della casa editrice. Un pubblico che, presumibilmente, NON è ancora pronto a fare i conti con degli omosessuali che osano emanciparsi e riescono a farla franca fino alla fine. E che ovviamente, soprattutto se non sono negativi e non rispecchiano i pregiudizi standard associati alla categoria omosessuale, devono subire un qualche castigo per avere osato sfidare i valori tradizionali con cui è cresciuto il lettore bonelliano standard. Un lettore che - anche solo per motivi anagrafici - si trova in evidente difficoltà ad accettare l'idea di un amore omosessuale a lieto fine...

Anche perchè questa eventualità metterebbe in crisi tutto quello che gli è stato insegnato fin da piccolo, indisponendolo verso i fumetti della casa editrice Bonelli in generale... O questa, perlomeno, sembrerebbe essere la logica più o meno consapevole dietro a simili strategie... Perchè altrimenti non si spiegherebbe perchè praticamente TUTTE le volte in cui certe tematiche trovano spazio sulle pubblicazioni di questa casa editrice - e vengono coronate da una qualche rappresentazione esplicita di affetto - il copione resta pressochè invariato... Tant'è che anche questa volta succede una tragedia, e Toni cade come un babbeo in una trappola tesagli da alcuni mafiosi, che non digeriscono il fatto che sia passato dalla parte dei gay emancipati che non fanno più guadagnare soldi ai locali/ghetto gestiti da loro, e viene brutalmente ucciso...

Tra l'altro, nelle sequenze ambientate nel presente "narrativo" (tecnicamente le storie sono ambientate alla fine degli anni Ottanta, mentre i protagonisti rivivono i flashback degli anni Sessanta) Milo si presenta come un catorcio incattivito, che non ha mai superato la tragica fine del suo primo amore vissuto a New York nel 1969... Tant'è che, la sera prima delle nozze dei suoi due amici, si ritrova a girare in stato confusionale per i boschi intorno al villino di montagna in cui è ospite... Iniziando a rincorrere il fantasma di Toni che la sua mente gli faceva intravedere fra gli alberi... Perlomeno fino a quando uno dei suoi amici lo rintraccia... E il poveretto ammette che si sente terribilmente solo, e che il fantasma di Toni non lo ha mai abbandonato... Probabilmente condizionadogli tutta l'esistenza...

Morale della favola... Alla fine il quadro generale ha confermato più o meno tutti i dubbi che avevo sollevato non appena avevo saputo che un albo Bonelli avrebbe parlato della rivolta di Stonewall (CLICCATE QUI), anche se devo ammettere che il contesto in cui è stato sviluppato il tutto ha offerto la possibilità di inserire tutta una serie di perle che, se possibile, hanno persino contribuito a rendere una rappresentazione dell'omosessualità più tragica e sconfortante del solito... Infatti, mentre il povero Milo si aggirava nella notte fredda e buia, rincorrendo i fantasmi del suo passato, nel villino c'era chi si divertiva, stupendo poi la promessa sposa con i resoconti della sua notte (etero) con un focoso cinquantacinquenne...

Il che, immagino, avrà gratificato molto l'ego del lettore bonelliano standard, che magari ha anche tanto bisogno di sentirsi ressicurato di fronte alle prime avvisaglie di un'andropausa incombente, o magari deve giustificare a se stesso i soldi che spende in viagra e affini... E comunque, siccome in un albo Bonelli non si sta bene senza qualche ammiccamento erotico (soprattutto se bisogna bilanciare qualche scena un po' troppo gay friendly), si è verificato pure il ritrovamento fortuito di alcune foto di nudo della nonna della nubenda... Scattate nel 1914...

Infine, alla faccia dell'amore omosessuale finito in tragedia, la storia si conclude con un bel matrimonio tradizionale, celebrato ovviamente in Chiesa... Mentre Milo può consolarsi giusto suonando un brano per accompagnare i festeggiamenti generali...

E negli scatti finali lo ritroviamo mentre si atteggia a rocker ribelle... Cercando di dissimulare i più possibile il disagio della notte precedente... Fine.

Che dire? Probabilmente, considerando che tutta questa serie nasce con l'evidente intento di strizzare l'occhio al lettore Bonelli standard di cui sopra, non ci si poteva aspettare tanto di più... E sicuramente questa storia conferma che l'etichetta "Audace", sotto cui viene pubblicata, si richiama ad un concetto di audacia molto relativo al pubblico di cui sopra... E lo si intuisce anche perchè i protagonisti sono delle persone prossime alla mezza età negli anni Ottanta, che ricordano la loro esperienza alla fine degli anni Sessanta... E già da qui si capisce che l'idea è proprio quella di creare un rapporto di identificazione con lo zoccolo duro dei lettori Bonelliani... Quelli che nel periodo in cui vengono ambientate le storie leggevano fumetti come TEX e non avevano mai avuto per le mani prodotti così "audaci"... Anche se, per gli standard di oggi, di davvero audace non hanno nulla... Continuando poi a scadere nella tipica retorica del fumetto italiano... E riescono a farlo persino quando parlano della rivolta di Stonewall...

In realtà questa serie finisce per caratterizzarsi in una dimensione da Villa Arzilla che non lascia spazio a niente di davvero nuovo... Nel senso che i veri protagonisti della storia non sono quelli che vengono raccontati nel fumetto, ma i lettori sulla Settantina (più o meno coetanei di Gianfranco Manfredi) che rivivono gli anni Ottanta in cui ricordavano gli anni Sessanta... Il che, a pensarci bene, ha una sua logica contorta...

Dato che se si fossero presentati semplicemente dei giovani che vivevano gli anni Sessanta il lettore medio avrebbe finito per rimpiangere troppo i bei tempi andati... Però, presentando dei ventenni degli anni Sessanta nella loro versione disillusa degli anni Ottanta, chi ha una settantina d'anni oggi si sente un sopravvissuto, e quindi può sentirsi gratificato da questo genere di lettura a prescindere...

Il problema è che se si brucia persino la carta della "prima volta" della rappresentazione della rivolta di Stonewall in questo modo, non si fa altro che accelerare il processo di disaffezione dal media fumetto da parte di chi non rientra nel target della serie di cui stiamo parlando... Non che una serie come Cani Sciolti avesse grandi possibilità con un pubblico diverso da quello per cui è stata concepita, però se in un altro contesto l'argomento fosse stato trattato in maniera diversa, e puntando su elementi diversi, SICURAMENTE avrebbe potuto destare un interesse diverso, e a livello mediatico avrebbe potuto avere un altro impatto...

Anche perchè, ripeto, un fumetto che parlava della rivolta di Stonewall e con dei protagonisti ispirati alle foto dell'epoca, non si era mai visto in nessuna parte del mondo... Neppure negli USA...

E invece tutto quello che abbiamo avuto è stata un'operazione dal vago sapore amarcord, che non ha fatto altro che reiterare quegli elementi che hanno portato il pubblico LGBT e LGBT friendly ad allontanarsi dai fumetti italiani man mano che prendeva più coscienza di sè e delle sue esigenze narrative...

Quelle esigenze che, per dirne una, adesso trova soddisfatte nell'ultima serie di Star Trek... Tant'è che quando in quel caso una storia gay aveva preso una piega un po' troppo "bonelliana" - facendo imbestialire il pubblico a tutte le latitudini - gli sceneggiatori hanno pensato bene di correre ai ripari, trovando il modo per resuscitare i morti (gay) e le loro relazioni (gay) a furor di popolo...

La saga di Star Trek è partita nel 1966, ma fortunatamente chi la gestisce è consapevole che i tempi cambiano e che il pubblico si rinnova... O che, perlomeno, bisogna provare a rinnovarlo considerando quelle che sono le esigenze di chi è giovane oggi, e non di chi lo era negli anni Sessanta... Altrimenti non si va da nessuna parte.

Purtroppo sembra che nel fumetto italiano le cose vadano diversamente.

Alla prossima.

venerdì 19 aprile 2019

MEGLIO APPROFONDIRE...

Ciao a tutti, come va?

Poco tempo fa è stata messa online un'intervista a Michele Medda, uno degli ideatori di Nathan Never. L'intervista in questione (che potete leggere integralmente CLICCANDO QUI) offre diversi spunti di riflessione interessanti, anche se - come spesso accade in questi casi - non rimandando un'immagine particolarmente positiva della situazione, è stata bellamente snobbata da buona parte dei siti specializzati, che hanno preferito non darle peso...

Ovviamente, dato che questo blog non trae alcun vantaggio dal non parlarne dal non commentarla come meglio crede, qui di seguito potete trovare alcuni passaggi che  secondo me sono particolarmente illuminanti su tutta una serie di questioni.

Michele Medda inizia dicendo che:

"Ogni nuovo medium toglie materialmente un po’ di terreno sotto i piedi agli altri media. È sempre stato così, e così sarà. Il fumetto in Italia soffre particolarmente perché, a differenza del cinema, non si è strutturato in un’industria. È andata così, non c’è niente da fare. Questo non toglie nulla alla specificità del mezzo, che rimane, come dicevo prima, una forma di espressione molto personale e con margini di libertà creativa sconosciuti a cinema e tivù. Non morirà, ma si ridurrà ai minimi termini, e con una qualità media sempre inferiore. Poi, è chiaro, non si può uccidere il talento, per fortuna. I talenti ci saranno sempre… Ma stanno bruciando i campi dove il talento può crescere. E questo è un problema della cultura italiana da almeno vent’anni, non è un problema esclusivo del fumetto."


Quindi specifica che:

"In realtà, un’industria vera e propria del fumetto – cioè una massiccia produzione autoctona e diversi concorrenti in un mercato con cifre importanti – si è sviluppata solo negli Usa e nell’area franco-belga. Da noi si è avuto un inizio di sviluppo “industriale” del settore, a cominciare dagli anni Sessanta. Ma tutto era già finito negli anni Ottanta: sono rimasti sulla piazza solo pochi editori, così diversi tra di loro da non farsi mai concorrenza. E dunque, ogni volta che una casa editrice chiudeva, non ce n’era nessuna abbastanza simile da rimpiazzarla. Per quale complesso di cause (perché sicuramente ce n’è stata più d’una) sia avvenuto questo, sinceramente non lo so. E al punto in cui siamo, è anche inutile chiederselo."

E aggiunge che:

"E poi non esiste un “grande successo” delle graphic novel. Esiste il successo di un paio di autori che fanno grandi numeri. Ma le graphic novel vendono, se va bene, mille copie. Se poi si va a fare la media le cifre sono più basse. Le graphic novel hanno eco sulla stampa (ma “eco” non significa “successo”) solo se hanno temi engagé o comunque spendibili mediaticamente: i migranti, la mafia, il Medio Oriente, un’infanzia difficile, “Ho-scoperto-di-essere-gay”, queste cose qua. Sono cose per un’élite che legge l’Huff Post o Internazionale, e che dà credito a quelle tematiche lì, non ai singoli autori."

E infine pronostica che:

"Tra qualche anno il fumetto popolare (inteso come fumetto seriale) non ci sarà più, quindi questa dicotomia sparirà. Problema risolto. A quel punto ci saranno solo graphic novel, quindi sarà interessante vedere con quale criterio spocchioso si distingueranno le graphic novel di serie A da quelle di serie B. Il fumetto seriale a cadenza mensile sparirà perché c’è la crisi del cartaceo. Chiudono le edicole e falliscono i distributori, quindi si vendono meno giornali, e quindi chiudono altre edicole e falliscono altri distributori. Un serpente che si morde la coda. Poi, certo, le serie continueranno a esistere in libreria, così come esistono le serie di romanzi con protagonista fisso. Ma ovviamente non sarà possibile strutturare le serie così come le abbiamo conosciute, come prodotto di uno staff di autori, con uscite mensili e con una stretta continuity."

Ovviamente ciascuno di questi interventi meriterebbe un post a parte, ma volendo i concetti fondamentali si possono riassumere in poche righe. Cominciamo dall'inizio: perchè il fumetto italiano non si è mai strutturato come un'industria? Siamo davvero sicuri che la risposta sia così complicata?

Se si ripercorre la storia del fumetto in Italia non è difficile capire che - fin dagli inizi (e parliamo degli inizi del Novecento) - nel nostro paese chi pubblicava fumetti faceva parte di un qualche grande gruppo editoriale, che si occupava di fumetti solo in maniera marginale, oppure era un piccolo imprenditore che si lanciava nell'avventura di aprire una piccola attività a conduzione famigliare. E questa situazione era ben delineata fin dagli anni Venti/Trenta del Novecento, potendosi riassumere nella dicotomia fra il Corriere dei Piccoli (che era un supplemento del Corriere della Sera) e l'Avventuroso (che era pubblicato dalla casa editrice Nerbini di Firenze)...

Nel primo caso il destino delle pubblicazioni è sempre stato legato ai chiari di luna dei piani alti e ad una serie di scelte aziendali non sempre assennate (anche perchè spesso a monte chi decideva non era un esperto di editoria a fumetti)... Che spesso hanno portato alla decadenza (e poi alla morte) testate a dir poco gloriose...

Nel secondo caso chi aveva avviato una casa editrice a conduzione famigliare difendeva con le unghie e con i denti la sua posizione dirigenziale (che spesso era anche plenipotenziaria, nella misura in cui il proprietario/titolare della casa editrice ne era anche il direttore editoriale, e in molti casi anche un autore di punta della stessa...), anche perchè sperava sempre di passare il tutto alla propria progenie, dando per scontato che sarebbe stata altrettanto motivata e/o capace. Peccato, però, che certe passioni non si ereditino in automatico, e tantissime case editrici, che pure avevano ottenuto buoni risultati, sono sparite nel nulla  nel giro di una generazione o due al massimo... Anche perchè, anche ammesso che un qualche figlio o parente avesse voluto rilevare l'attività di famiglia, non era affatto detto che volesse utilizzarla per pubblicare fumetti... Oltre alla sopracitata Nerbini (che è ancora  attiva pubblicando tutt'altro), si potrebbero citare tantissimi altri casi di questo tipo. E così le poche case editrici di fumetti a conduzione famigliare che sono sopravvissute per più di quarant'anni, e che hanno continuato ad occuparsi di fumetti, sono state quelle in cui la tradizione famigliare è riuscita a perpetuarsi in qualche modo, o in cui si è fatto avanti un qualche figlio "adottivo" cresciuto in redazione...

Questa situazione abbastanza particolare, ed estremamente caratteristica del nostro paese, ha poi innescato un diabolico meccanismo, per cui chi riusciva a sopravvivere per più tempo, e a consolidare la sua posizione sul mercato, poteva garantire condizioni di lavoro più allettanti ai professionisti del settore, che finivano inevitabilmente per fare la gavetta altrove col fine dichiarato di iniziare a lavorare con le poche case editrici di cui sopra, una per tutte la Bonelli, che pian piano hanno finito per cannibalizzare la concorrenza, dettando per diversi decenni le regole del gioco... Anche perchè mancando di fatto una concorrenza vera e propria, potevano permettersi di riproporre all'infinito (e con minime varianti) lo stesso stile narrativo e lo stesso tipo di personaggio... Forti del supporto del proprio pubblico storico. Inondando le edicole con le loro pubblicazioni, non lasciando agli editori emergenti lo spazio fisico per emergere e impedendo al fumetto italiano di organizzarsi come un'industria.
Però, come riferisce Michele Serra, qualcosa inizia a incrinarsi già dagli anni Ottanta, e cioè quando il ricambio generazionale inizia ad interrompersi con l'arrivo della prima vera forma di concorrenza per il fumetto italiano... E cioè le serie animate giapponesi, che hanno rivoluzionato i gusti di buona parte dei potenziali lettori nati dalla seconda metà degli anni settanta in poi... Da notare che le serie animate giapponesi si ispirano a dei fumetti, che però - a differenza si quanto accade in Italia - sono il frutto di un mercato estremamente variegato e ricco di case editrici che si fanno la guerra per accalappiarsi un gigantesco pubblico diviso per fasce d'età e con molteplici interessi...

Quindi, indirettamente, le serie animate giapponesi hanno abituato il pubblico italiano ad un altro modo di intendere le produzioni per ragazzi... E da quel momento in poi almeno due generazioni di lettori sarebbero cresciute  trovando i fumetti italiani standard in buona parte "superati", dato che fondamentalmente seguivano ancora gli schemi degli anni Cinquanta e Sessanta  e mai si sarebbero sognati di toccare argomenti e situazioni che per le produzioni nipponiche - a cui anche gli italiani si stavano abituando - erano all'ordine del giorno. Ovviamente la questione venne ampiamente sottovalutata, tant'è che fu necessario aspettare che quella prima generazione di ragazzini crescesse per avere le prime fanzine che si occupavano di manga e anime, dai cui sono stati poi prelevati i primi consulenti editoriali da assumere per lanciare i manga in Italia nel modo più giusto...

Probabilmente, se dal 1989 in poi le maglie della censura televisiva non si fossero strette sempre di più attorno alle produzioni giapponesi, adesso il fenomeno avrebbe raggiunto livelli difficilmente immaginabili, anche se tutt'ora si difende molto bene. In ogni caso questo è stato solo l'antipasto, visto che con internet e le connessioni veloci l'offerta a livello di intrattenimento di qualità è cresciuta a dismisura, iniziando ad affossare definitivamente il fumetto popolare italiano, che fondamentalmente giace ripiegato su se stesso da decenni... E cioè da ben prima che il circuito delle edicole entrasse in crisi.

Anche perchè le dinamiche delle case editrici a conduzione famigliare di cui sopra hanno finito per influenzare progressivamente tutte le posizioni lavorative al loro interno , e così anche i professionisti che si sono guadagnati una posizione nelle (poche) case editrici che garantiscono ancora stipendi regolari, o perlomeno dignitosi, fanno di tutto per rimanere dove stanno, e il risultato è che oggi il ricambio generazionale non è un problema legato solo ai lettori... Tant'è che in buona parte del fumetto popolare italiano - anche a livello redazionale e dirigenziale, ma soprattutto a livello creativo  - non si è visto un reale rinnovamento perlomeno dagli anni Novanta. E comunque l'età media di chi lavora in questo ambiente ha continuato a crescere. Bloccando così l'afflusso di nuove idee e, soprattutto, la possibilità di creare un filo diretto con le nuove generazioni.

Quindi, se è vero che vengono "bruciati" i campi in cui il talento può crescere, forse sarebbe il caso di chiedersi - prima di tutto - chi favorisce l'incendio...

Tantopiù che, giusto per dirne una, Michele Medda sostiene che temi come i migranti, la mafia, il Medio Oriente, un’infanzia difficile, “Ho-scoperto-di-essere-gay” e tutto il resto interessano solo a una risicata minoranza di radical chic... Eppure è abbastanza difficile stabilire se questi temi sono adatti o meno al fumetto popolare, visto che generalmente in questo contesto non vengono affrontati, o comunque non vengono affrontati in maniera davvero moderna e competitiva... Come invece, ad esempio, fanno le serie TV degli ultimi anni, che INCHIODANO milioni di persone davanti alla TV (o allo schermo del computer) per ore! E tra l'altro sfruttando un'abbondantissima dose di continuity! Però bisogna considerare che Michele Medda esprime questo parere dall'alto dei suoi 57 anni...

E quindi sarebbe interessante riuscire a capire quanto il suo giudizio possa essere rappresentativo delle generazioni successive alla sua. Anche perchè, in effetti, ci sono tanti giovani autori e autrici che i grandi editori non prenderebbero mai in considerazione, ma che hanno idee molto promettenti e in linea con il pubblico di oggi... Proprio in questi giorni un anonimo lettore di questo blog mi ha fatto notare che c'è una fumettista palermitana di nome Elisa Bisignano che sta portando avanti il progetto di un fumetto a tematica gay, e che per tagliare la testa al toro ha pensato di rivolgersi direttamente ad una piccola etichetta americana e di finanziare la pubblicazione del primo capitolo del suo fumetto, Willowisp, tramite una raccolta fondi su kickstarter...

La raccolta fondi, che è andata a buon fine, rientrava nel programma editoriale del collettivo indipendente Evoluzione Publishing, e come tutti gli altri progetti di questa etichetta (a cui lavorano autori provenienti da varie parti del mondo, ma che è stata fondata a San Diego) è stato proposto direttamente in inglese... E così la saga paranormale/magica di Noah, diciassettenne gay che inizia ad avere strane esperienze - con qualche imprevisto risvolto romantico - quando si reca nella città natale della sua defunta madre, ha potuto avere inizio...

Inutile dire che di questo progetto, in Italia, non sta parlando veramente nessuno... E che ovviamente per una storia di questo tipo non ci sarebbe mai stato spazio nelle edicole italiane... Dove però si preferisce investire su una serie di idee "nuove" che nascono già vecchie e che fondamentalmente non hanno niente da dire...

Ad ogni modo penso che sia interessante notare che Elisa Bisignano è nata nel 1993... E quindi appartiene ad una generazione di autori che - al momento attuale - viene esclusa dal circuito delle edicole a prescindere... Per continuare a lasciare spazio a persone che, nella maggior parte dei casi, hanno almeno il doppio dei loro anni e ormai hanno perso del tutto il contatto con il pubblico giovanile..

E comunque, a ben guardare, lo stesso Michele Medda, quando propose Nathan Never alla Bonelli, nel 1989, aveva 27 anni... E guarda caso quando Nathan Never debuttò in edicola, nel 1991, si rivelò un grande successo...

Adesso a quanti ragazzi (o magari ragazze) di 27 anni si lascerebbe carta bianca? Magari per proporre qualcosa di innovativo e fuori dagli schemi per  un pubblico giovane? Willowisp, probabilmente, sarebbe perfetto per essere pubblicato a puntate su una rivista per centennials... Una rivista che però, al momento, non esiste... E che nessuno probabilmente ha intenzione di progettare... Perchè, a quanto pare, le riviste contenitore in Italia non funzionano più... Anche se poi nessuno si è preso la briga di analizzare i motivi per cui hanno smesso di funzionare...
D'altra parte è vero che il talento e le idee, quando ci sono, trovano comunque degli sbocchi... Anche se è davvero curioso il fatto che dalle nostre parti non si riesca a mettere a fuoco una situazione così palesemente evidente... E come si preferisca fare incagliare la nave piuttosto che farla virare finchè si è ancora in tempo...

Alla prossima.

giovedì 11 aprile 2019

SESSO E DINTORNI...

Ciao a tutti, come va?

Devo ammettere che più passa il tempo e più mi sembra di portare avanti un blog che parla di fumetti in un paese che - forse - ha iniziato a dimenticare cosa sono i fumetti... Nel senso che, fino a prova contraria, i fumetti sono nati come una forma di narrazione/arte economica, che aveva lo scopo di coinvolgere un pubblico ampio e trasversale in maniera immediata, utilizzando un linguaggio meno impegnativo di quello sfoggiato dalla letteratura colta, e affrontando iin maniera diretta temi di tendenza. Utilizzando un approccio in linea con il contesto storico e culturale in cui veniva prodotto.

Fondamentalmente i suoi punti di forza erano il prezzo basso, e il fatto che proponeva contenuti accessibili e intriganti per il pubblico a cui si rivolgeva, e in particolare per i bambini e i ragazzini. Poi, magari, quei lettori crescevano e si iniziavano a produrre fumetti anche per un pubblico più adulto e/o selezionato, magari composto da collezionisti con maggiore disponibilità economica... Però il primo anello della catena restavano i bambini e i ragazzini, anche se questo significava produrre fumetti che gli adulti - ovviamente - avrebbero disapprovato.

Cosa che adesso, perlomeno in Italia, non avviene più.

In particolare se si considera il fatto che, in pratica, dalle nostre parti non esistono più dei fumetti che fanno leva sui pruriti e sulle curiosità sessuali del pubblico giovanile di oggi... Che sicuramente su internet può documentarsi in maniera molto esplicita, ma che forse - se ne avesse la possibilità - potrebbe anche trovare gradevole avere per le mani dei fumetti che offrono una rappresentazione moderna della sessualità e delle mille sfumature che la caratterizzano oggi...

Ecco... Diciamo che da questo punto di vista in Italia siamo rimasti davvero molto indietro, soprattutto se consideriamo il circuito delle edicole... Però, a ben guardare, anche nell'ambito delle fumetterie e delle librerie di varia si inizia giusto adesso ad esplorare il concetto di LGBT... Mentre i giovani di oggi vivono in un contesto molto più dinamico e sfaccettato, che però viene tendenzialmente ignorato anche dagli autori e dagli editori più progressisti e sperimentali. Se poi volessimo restringere il campo alle pubblicazioni a fumetti che mirano, nello specifico, a fornire informazioni in questo senso... Peraltro in una nazione in cui l'educazione sessuale latita in maniera imbarazzante... Diciamo pure che l'offerta è pari a zero.

Sono cose che fanno riflettere, soprattutto se si considera che in altre nazioni lo scenario è alquanto diverso. Negli USA, ad esempio, la casa editrice Oni Press ha una sotto etichetta - la Limerence Press (CLICCATE QUI) - dedicata proprio all'educazione sessuale a fumetti, e ai fumetti erotici con risvolti pedagogici... Il prossimo titolo annunciato è una guida a fumetti alle identità trans e queer...

Il volume dovrebbe essere distribuito a fine mese, e qui sotto vi faccio vedere una piccola preview, giusto per darvi l'idea del modo delicato e intelligente con cui viene affrontata l'annosa questione della differenza fra sesso e genere...

Comunque, per darvi l'idea dei volumi che pubblica questa etichetta, vorrei giusto citarvi quello dedicato all'uso corretto degli articoli e dei pronomi in funzione dell'identità sessuale... Cosa che risulta particolarmente utile in inglese, dato che è una lingua che offre anche il genere neutro...

Inoltre c'è un'intera serie di volumi (belli corposetti, per la verità) dedicati all'educazione sessuale vera e propria... Strabordanti di riflessioni, istruzioni e informazioni utili per tutti i gusti (e con tanti disegnini molto chiari ed espliciti)... Presentando sempre il tutto con tatto e senza inutili morbosità...




E comunque, sul versante più prettamente narrativo, abbiamo - tra le altre cose - un fumetto fantascientifico che affronta il tema delle relazioni poliamorose...

E qello che vi ho fatto vedere finora è solo una parte di quello che viene prodotto dalla sotto etichetta di un'unica casa editrice statunitense... Volumi di questo tipo, comunque, vengono prodotti anche altrove... Qui sotto vi faccio vedere giusto alcune cose che sono uscite in Francia negli ultimi anni...




Senza contare che, dal 2007, in Francia continua ad essere ristampato il manuale di educazione sessuale di Titeuf, probabilmente il personaggio a fumetti per ragazzi più popolare degli ultimi vent'anni (in Francia i suoi volumi avevano venduto complessivamente più di 16 milioni di copie solo dal 1992 al 2006)...

Interessante, direi... Soprattutto se si considera che - tecnicamente - viviamo in un contesto sempre più globalizzato, e in cui le istanze del pubblico italiano sono sempre più simili a quelle del pubblico di altre nazioni. Soprattutto fra e nuove generazioni.

Quelle a cui, però, il fumetto italiano fa sempre più fatica a rivolgersi... Non foss'altro perchè l'età media di chi lo gestisce è sempre più alta, e comunque si tratta di persone che appartengono a generazioni quasi del tutto scollate dal contesto giovanile di oggi e dalle sue dinamiche.

E in effetti, se queste sono le premesse, non stupisce più di tanto il fatto che ormai il fumetto in Italia inizia ad essere percepito sempre più spesso come qualcosa "da vecchi"... Mentre una volta risentiva del pregiudizio diamentralmente opposto (e guardacaso, all'epoca, vendeva molto di più).

Cosa accadrà nei prossimi anni, se non ci sarà un radicale cambiamento di prospettiva?

Difficile dirlo, ma sicuramente ne riparleremo.

Alla prossima.