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martedì 19 marzo 2019

Anteprime e considerazioni

Ciao a tutti, come va?

Sulla quarta di copertina del numero 5 della serie Cani Sciolti della Bonelli, come da prassi, si trova l'anticipazione del numero successivo... E a quanto pare di tratterà di un numero particolare, visto che racconterà di come - accidentalmente - due dei protagonisti della serie (in qualità di universitari in vacanza) si ritrovano a New York proprio il 28 giugno del 1969, venendo coinvolti dalla rivolta di Stonewall... Questo albo dovrebbe essere distribuito in edicola a partire dall'11 aprile (se fosse stato disponibile in occasione del 17 maggio, o per la stagione dei Pride, sarebbe stato meglio, ma forse era chiedere troppo).

Dato che l'evento è a modo suo storico, per vari motivi, ho pensato che fosse il caso di trarne qualche spunto di riflessione con  un po' di anticipo, anche perchè qualcosa mi dice che quando uscirà le cose da dire saranno comunque tantissime. Anche se in realtà ci tenevo a parlarne prima anche nella speranza di evitare alcuni scivoloni che già potrebbero prospettarsi all'orizzonte... Perlomeno a giudicare dalla preview della copertina...

Anche volendo tralasciare il fatto che sulla vetrina del locale raffigurato in copertina viene scritto "Stonewall", e non "The Stonewall Inn" (che era il nome del locale da cui partì tutto, e che ha mantenuto il nome tale e quale anche oggi)...


Ecco... Anche volendo trascurare questo piccolo dettaglio, diciamo... Un'altra cosa che spicca nella copertina è il fatto che tutti i "rivoltosi" sono bianchi, mentre quel locale era frequentato da tantissime persone appartenenti alla minoranza ispanica e afroamericana... Come peraltro viene testimoniato anche dalle foto di quel periodo... Quindi la speranza è che quello che si vede nella preview sia giusto un errore di colorazione (per quanto inopportuno, soprattutto in questo periodo), e che all'interno della storia questo aspetto della vicenda non venga rimosso...

Tra l'altro, sempre nella suddetta copertina, fra i rivoltosi spicca la mancanza di persone visibilmente transgender, quando questa categoria ebbe una rappresentanza e un peso importante in tutta la vicenda... E anche in questo caso non sarebbe male se si trattasse di una "svista" presente solo in copertina, anche perchè proprio nel numero di Cani Sciolti di questo mese si è vista una prostituta transgender italiana (anche se all'epoca si facevano chiamare "travestiti"... E in più di qualche caso non erano propriamente persone transgender, ma omosessuali maschi che nel crossdressing avevano più opportunità di trovare un punto di equilibrio con il loro orientamento sessuale)...

Quindi non sarebbe carino se, anche in questa serie, fosse concesso di rappresentare questa categoria di persone solo in qualità di prostitute sottomesse all'italica libido, e non - ad esempio - in qualità di ribelli di Stonewall... Anche perchè, in questo caso, si confermerebbe definitivamente la vocazione anacronistica del progetto "Audace" della Bonelli, che finora ha dimostrato di essere "Audace" solo per i parametri del suo pubblico storico, che è sempre più stagionato... E che magari trova molto esaltante anche il fatto che "finalmente" negli albi Bonelli si parli del clima della fine degli anni Sessanta, quando magari aveva la stessa età dei protagonisti di Cani Sciolti, e viveva le loro stesse esperienze... O magari avrebbe voluto viverle se non fosse stato vincolato da alcune dinamiche tipiche dell'Italia di quel periodo (e non solo)...

Quindi adesso non possiamo fare altro che restare in attesa di vedere come Gianfranco Manfredi gestirà il numero 6 della serie... E nel frattempo prendiamo atto di una cosa, che è sotto gli occhi di tutti: anche se in Italia inizia a crearsi un clima sociale molto partecipato su diverse questioni, il massimo che riescono a fare i fumetti italiani è ambientare le loro storie più trasgressive alla fine degli anni Sessanta...

Cercherò di essere più chiaro. Nel giro di due settimane abbiamo avuto: il 2 marzo una manifestazione antirazzista a Milano che ha riempito Piazza Duomo...

L'8 marzo una serie di cortei che hanno dimostrato che, per quanto incredibile, il movimento femminista sta tornando a farsi largo anche in Italia...

Il 14 marzo centinaia di migliaia di ragazzi che si sono riversati in strada aderendo allo sciopero globale per il clima...

Quindi, anche a voler essere di manica stretta, bisognerebbe perlomeno ammettere che ci sono tre temi che coinvolgono in maniera crescente e trasversale un'ampia fetta di società civile, e in buona parte la sua rappresentanza giovanile: il razzismo, la questione femminile e la preoccupazione per la crisi ambientale...

Mentre in edicola, oltre ad una discreta quantità di ristampe di materiale risalente a parecchi decenni fa, si ritrovano produzioni che - come da prassi - scelgono di non prendere spunto dalla realtà in cui vivono i loro potenziali lettori... E che, come dicevo all'inizio, nella migliore delle ipotesi trattano di tensioni sociali relative alla fine degli anni Sessanta.

Un ottimo modo per cercare di fare breccia nel pubblico di oggi, direi. E soprattutto in quello giovane, che oltretutto è già un target sempre più difficile da agguantare... Anche se in realtà non partirebbe poi così prevenuto come sembra...

Generalmente quando si solleva l'argomento, in particolare per quel che riguarda il fumetto seriale italiano, chi difende un certo tipo di scelta ribatte che - anche volendo - sarebbe impossibile stare sul pezzo perchè si tratta di prodotti elaborati con anni di anticipo, e che in molti casi richiedono che gli autori vengano messi all'opera su una determinata storia con mesi e mesi di anticipo.

Perchè in Italia, si sa, la media delle pagine mensili per ciascuna storia è molto maggiore rispetto ai corrispettivi statunitensi o di altri paesi... E quindi richiede più tempo per essere ultimata.

Tutto vero. Però al netto del fatto che comunque a monte c'è - da parte del fumetto italiano che arriva in edicola - un'atavica paura di rapportarsi con temi eticamente sensibili,  a volte c'è anche la netta sensazione che certe scelte editoriali siano una giustificazione valida e al tempo stesso un pretesto.

Anche perchè, se i tempi di lavorazione sono così lunghi, non c'è scritto da nessuna parte che non possano essere pubblicati mensili antologici con storie di massimo venti pagine l'una. L'editoria giapponese si regge quasi tutta su periodici antologici, anche settimanali, in cui le storie vengono portate avanti al ritmo di poche decine di pagine per volta...

Cosa che, tra l'altro, garantisce un periodico rinnovamento delle storie, degli autori e delle idee... Anche in base alla risposta del pubblico. E forse è per questo che, anche se parliamo di una nazione altamente informatizzata, i fumetti pubblicati da queste riviste poi vengono raccolti in volumetti che vendono milioni di copie ciascuno (e solo in Giappone).

Qui sotto, per completezza, potete vedere la classifica dei dieci volumetti più venduti del 2018 in Giappone:
  1. One Piece – 8,113,317
  2. My Hero Academia – 6,718,185
  3. L’Attacco dei Giganti – 5,235,963
  4. Slam Dunk – 5,214,085
  5. Haikyu!! – 5,030,624
  6. Kingdom – 4,970,171
  7. The Seven Deadly Sins – 4,867,680
  8. The Promised Neverland – 4,246,955
  9. Vita da Slime – 3,460,066
  10. Tokyo Ghoul:re – 3,267,843
Parliamo, nell'ordine, di pirati, di supereroi, di un fantasy distopico, di pallacanestro, di pallavolo (maschile), di combattimenti e intrighi sullo sfondo dell'antica Cina, di fantasy ispirato al medioevo occidentale, di horror a base di bambini in balia di demoni, di avventura fantasy ispirata ai giochi di ruolo e di un urban fantasy dark/horror...

E in tutti i casi i personaggi chiave sono bambini, ragazzini, adolescenti o giovani adulti... Che in un modo o nell'altro riescono a creare un rapporto di identificazione con i loro lettori, e in particolare con quelli che hanno la loro stessa età..

E bisogna tenere presente che, anche quando si muovono in contesti poco legati al mondo reale, cercano di toccare temi ed emozioni che fanno comunque parte della quotidianità del loro pubblico di riferimento.

Però, quando si paragona il fumetto giapponese con quello italiano, i soliti difensori della causa insorgono dicendo che gli autori giapponesi hanno un metodo di lavoro diverso, che hanno stuoli di assistenti e che in Italia non si lavora così... Anche perchè, come si diceva sopra, i fumetti italiani vengono pubblicati prendendo come riferimento altri criteri tipografici, stilistici, editoriali, ecc...

E anche questo è vero. Però, se a questo punto il nocciolo della questione è che il metodo di lavoro tradizionalmente adottato in Italia non consente di sperimentare e articolare l'offerta come in Giappone, dove i fumetti vengono milioni di copie, non sarà che - forse - il problema sta anche nel metodo di lavoro italiano, e nel fatto che ormai è superato e poco competitivo?

Se, ad esempio, non consente di mettere in atto quelle dinamiche che gli permetterebbero - se volesse - di affrontare con pochissimo scarto temporale i temi e gli argomenti che potrebbero intrigare il pubblico di oggi, non sarebbe il caso di rivederlo?


Chissà...

La cosa ironica è che, se proprio volessimo essere onesti, il formato bonelliano che intendiamo oggi ha molte più cose in comune con i manga giapponesi di quanto non si direbbe. Nel senso che nasceva per raccogliere dei fumetti che precedentemente erano arrivati in edicola sottoforma di strisce settimanali (o quindicinali) di poche decine di pagine... Quindi, tecnicamente, si tratterebbe di una specie di ritorno alle origini...
Ovviamente per concretizzare l'idea di un periodico antologico su carta economica, che ogni volta ospita i capitoli di diverse storie in qualche modo collegate ai temi caldi del momento, sarebbe necessario rivoluzionare da cima a fondo tutto l'establishment fumettistico italiano... Escludendo automaticamente tanti nomi noti che non riuscirebbero a starci dietro, e dando spazio a tanti nuovi direttori editoriali, sceneggiatori e disegnatori: giovani, veloci e col dono di sapersi relazionare davvero con il pubblico italiano.

Quindi bisognerebbe fare una grande selezione, con un'operazione di scouting senza precedenti e a tutti i livelli, e sarebbe una strage...

E forse, e dico forse, questo potrebbe essere uno dei motivi per cui questa strada non è mai stata percorsa, e a tutt'ora si preferisce navigare a vista sperando di trovare prima o poi l'approdo giusto.

Puntando, nel frattempo, sugli ex giovani degli anni Sessanta... E iniziando a nominare timidamente i moti di Stonewall giusto nel 2019... E cioè quando a New York si celebra il cinquantennale dell'evento, e tra l'altro lo si fa con un WORLD PRIDE...

Meglio tardi che mai, insomma...
Ad ogni modo, come dicevo all'inizio, sarà molto interessante verificare come verrà trattato l'argomento... E sicuramente questo blog ne riparlerà a tempo debito.

Alla prossima.

venerdì 2 settembre 2016

GO! GO! GO!

Ciao a tutti, come va?

Di come, con un certo (e colpevole) ritardo, la pornografia gay si stia iniziando ad interessare in maniera continuativa alle parodie erotiche di generi come l'horror, il fantasy e i supereroi ho già parlato in diverse occasioni... Anche perchè ultimamente il sito MEN.com, in questo senso, sta diventando un vero punto di riferimento...

Tuttavia, fra i generi legati all'immaginario pop che mancavano all'appello c'erano ancora i videogames e gli anime... Ho detto "c'erano" perchè, finalmente, il solito sito MEN.com ha deciso di prendere due piccioni con una fava (e mai metafora fu più azzeccata)... Infatti a deciso di provare a realizzare la porno parodia di Pokèmon Go, che è un po' un mix fra l'anime e la app videoludica che negli ultimi mesi ha battuto tutti i record di download...

E che non poteva che chiamarsi Fuckémon Go...

Siccome a questo blog piace fare le cose per benino qui sotto vi faccio vedere anche il trailer, così potete farvi un'idea del lavoro di post produzione, degli effettini in stile manga e delle varie perle fra il kitch e il trash che caratterizzano questo curioso esperimento...

Ovviamente bisogna considerare che il porno gay degli ultimi decenni, e in particolare quello prodotto dai siti online, deve fare i conti con una certa povertà di mezzi... E che comunque non ha una tradizione di grandi investimenti come avviene nel caso della pornografia eterosessuale (che di tanto in tanto ha sfornato dei veri e propri kolossal)...

E d'altra parte è pur vero che quando il porno etero ha provato a realizzare la sua parodia dei Pokèmon, e cioè Strokemon, il risultato è stato a dir poco inquietante... E sicuramente molto più grottesco e meno divertente...

Ad ogni modo, secondo me, la cosa interessante è che la MEN.com ha rotto gli argini (e anche questa metafora mi sembra molto azzeccata), e forse questa apertura verso i Pokèmon potrebbe spingerli (mhhh...) a considerare maggiormente l'infinito serbatoio di ispiriazione che potrebbe essere legato al mondo di anime, manga e videogiochi...

E se di questo Fuckémon Go si sta già parlando così tanto, cosa potrebbe accadere se - ad esempio - decidessero di realizzare una porno parodia di DRAGONBALL? O magari quella di STREET FIGHTERS?

Ovviamente la mia - al momento - è solo un ipotesi, ma ammetto che sarei davvero curioso di vedere che tipo di ripercussioni potrebbe avere una maggiore integrazione fra la pornografia gay e l'immaginario pop che fa tendenza... E in particolare quello che arriva dal Giappone...

Staremo a vedere.

E soprattutto staremo a vedere cosa potrebbe succedere se ci saranno nuovi capitoli di
Fuckémon Go... 

Alla prossima!

venerdì 8 gennaio 2016

PARI DIGNITÀ

Ciao a tutti, come va?

A fine gennaio, come ogni anno, si terrà il festival del fumetto di Angoulême, e cioè la più importante manifestazione fumettistica francese. Quest'anno, però, se ne ne è iniziato a parlare con un certo anticipo anche per via di una polemica molto particolare che ha tenuto banco negli ultimi giorni. Infatti per l'annuale Gran Premio alla carriera non era stato selezionato alcun candidato di sesso femminile (sui trenta in lizza)... E questa scelta, pressochè discriminatoria, aveva mandato su tutte le furie prima di tutto il Collectif des créatrices de bande dessisée contre le sexism (che si è costituito giusto nel 2015 per promuovere l'operato delle fumettiste in Francia, e che trovate CLICCANDO QUI), e a seguire tutto il mondo del fumetto... Tant'è che diversi candidati al Gran Premio avevano annunciato di voler ritirare la propria candidatura, per solidarietà verso le colleghe.

E così questo piccolo putiferio ha spinto gli organizzatori del Gran Premio a rivedere le loro posizioni e ad inserire nella lista dei candidati anche sei autrici: Linda Barry, Julie Doucet, Moto Hagio, Chantal Montellier, Marjane Satrapi e Posy Simmonds.

Tuttavia pare che questa mossa non sia stata troppo apprezzata, e così gli organizzatori hanno deciso di cambiare di nuovo le carte in tavola: infatti hanno appena eliminato TUTTI i candidati (maschi e femmine) e hanno deciso che il premio verrà assegnato tramite una libera votazione online effettuata dagli autori di fumetti, che proporranno liberamente i loro nominativi... E c'è da scommettere che anche questa scelta finirà per suscitare un po' di polemiche (chi stabilirà quali sono gli autori degni di votare e quali no? Potranno votare solo gli autori francesi? Se un autore, o un'autrice, in Francia non è molto conosciuto/a quante sono le possibilità che abbia un premio alla carriera?)

Ad ogni modo se parlo di tutto questo qui è perchè l'unica autrice giapponese messa in lista per il Gran Premio alla carriera di Angoulême era stata Moto Hagio, e cioè la mangaka che nel 1974 aveva inaugurato il genere boys love, con con lo struggente Thomas no Shinzō (in italiano sarebbe "Il Cuore di Thomas"), ambientato in un esclusivo collegio tedesco in cui si consumano drammatiche passioni omoerotiche adolescenziali.

Il fumetto è ormai ritenuto un classico, e giusto un paio d'anni fa è stato pubblicato negli USA dalla Fantagraphics (CLICCATE QUI), entrando in lizza anche per il titolo di "Miglior edizione americana di un'opera asiatica" agli Eisner Award del 2014.

Il titolo è ancora inedito in Italia, e per come siamo messi oggi ho qualche dubbio sul fatto che qualcuno sia disposto a pubblicare una storia del 1974 a base di giovani efebi che amoreggiano languidamente, fra tragedie, turbamenti e drammi vari...

Ad ogni modo penso che sia interessante il fatto che, fra tante mangaka che si potevano selezionare per ricevere il Gran Premio alla carriera di Angoulême, la prescelta sia stata proprio Moto Hagio (foto sotto), che viene ricordata in particolare per avere aperto le porte ad un genere che - prima di Thomas no Shinzō - di fatto non esisteva... E che adesso anima un mercato a parte, che col tempo ha permesso ulteriori sviluppi del fumetto giapponese nell'ambito delle tematiche omosessuali...

Anche se, è bene ricordarlo, i boys love tecnicamente non sono fumetti gay, e nemmeno nascono per dare voce al mondo omosessuale. La stessa Moto Hagio ha ammesso in un documentario del 2010 (il suo intervento lo potete vedere qui sotto), che ha "inventato" i boys love perchè la lasciavano libera di raccontare storie d'amore più libere di quelle che poteva realizzare utilizzando le classiche protagoniste femminili.

Nel caso vi interessasse visionarlo integralmente lo potete trovare CLICCANDO QUI (purtroppo in versione integrale l'ho trovato solo in giapponese coi sottotitoli in cinese, ma secondo me è interessante a prescindere, perchè entra in contatto diretto con l'universo dei manga amatoriali, che in Giappone rappresenta un vero e proprio mercato parallelo).

Se questo blog fosse visto da qualcuno intenzionato a sottotitolarlo nella nostra lingua trova tutte le informazioni CLICCANDO QUI.

Ad ogni modo, nonostante i problemi del festival di Angoulême, bisogna sicuramente prendere atto di questo segnale di apertura da parte del mondo del fumetto ufficiale nei confronti delle tematiche omosessuali in senso lato e del riconoscimento del loro apporto alla cosiddetta "nona arte" (e cioè il fumetto)...

Certo spiace un po' che la candidatura di Moto Hagio sia durata solo pochi giorni, ma pazienza...

L'importante è che, arrivati a questo punto, possiamo dire che Moto Hagio, alla fine, ha inventato un genere fumettistico che ha contribuito a legittimare le tematiche omosessuali in un mondo tradizionalmente maschilista ed eterocentrico come quello del fumetto... E non solo in Giappone.

E che per questo è stata ritenuta meritevole di entrare in una lista di candidati che comprendeva nomi come Stan Lee, Quino e Alan Moore (la lista originale la trovate QUI).

Alla prossima.

lunedì 4 gennaio 2016

RIFLESSIONI DEMOGRAFICHE

Ciao a tutti, come va?

Generalmente l'inizio dell'anno è un momento di bilanci e buoni propositi, che in teoria dovrebbero servire per non ripetere gli errori del passato e puntare ad un futuro migliore... E ovviamente il vostro blog del cuore non poteva ignorare questa bella tradizione (^__^)...

Anche perchè i post del lunedì sono diventati quelli in cui mi lascio andare un po' di più, soprattutto se devo parlare della situazione italiana...

E infatti sarà proprio della situazione italiana che parlerò oggi (lo spunto me lo ha dato la copertina del numero di Topolino di questa settimana, di cui parlerò più avanti), e lo farò partendo dall'analisi di uno degli alibi che ultimamente vengono tirati fuori più spesso per giustificare il calo delle vendite dei fumetti in Italia... E cioè il calo delle nascite e l'innalzamento dell'età media della popolazione.

Intendiamoci: si tratta di un dato di fatto ed è inutile negarlo, tant'è che gli ultimi dati ISTAT dicono che l'età media degli italiani e di 44,4 anni, con un 21,7% di ultrassantacinquenni e solo un misero 13,8% di under 15 (CLICCATE QUI)... E questo, di solito, è uno degli assi nella manica che vengono tirati fuori per giustificare il fatto che i fumetti popolari italiani hanno un occhio di riguardo per il pubblico non più giovanissimo e per il fatto che non si punta più sui bambini come una volta, dato che il ricambio generazionale è comunque destinato ad essere sempre più risicato...

E, in teoria, questa è una giustificazione che potrebbe avere senso.

Eppure - a ben guardare - c'è qualcosa che non torna, soprattutto se si fa un breve raffronto con quello che avviene in Giappone. Secondo i dati del 2011 (CLICCATE QUI) gli under 14 giapponesi rappresentano il 13,1% della popolazione e il tasso di natalità è persino più basso che in Italia (nel 2012 ogni donna italiana aveva 1,42 figli, mentre nel 2006 ogni donna giapponese ne aveva 1,26). Inoltre anche in Giappone l'età media si è alzata molto, e secondo il sito della CIA ha raggiunto una media di 46,5 anni (CLICCATE QUI).

Quindi, teoricamente, dal punto di vista demografico Italia e Giappone hanno molte caratteristiche in comune... E questo rende ancora più curioso il fatto che in Giappone il fumetto più venduto nella prima metà del 2015 (secondo l'attendibilissima classifica ORICON) è stato il settantasettesimo volumetto di ONE PIECE, con 1.668.225 copie (e solo fra marzo e aprile!), mentre in Italia la serie a fumetti più venduta continua ad essere TEX, che - secondo i dati diffusi nel 2014 (CLICCATE QUI) - vende ancora intorno alle 190.000 copie al mese. Questa sproporzione fra i dati di vendita delle due nazioni, tra l'altro, assume una sfumatura ancora più inquietante se si considera che l'immensa concorrenza con cui deve confrontarsi ONE PIECE in Giappone non ha niente a che spartire con quella - praticamente inesistente - che ha TEX nelle edicole italiane.

Ad ogni modo, facendo le dovute proporzioni, se la popolazione italiana è di circa 61.850.000 abitanti e quella giapponese è di circa 126.900.000 unità, in Italia una serie con lo stesso pubblico potenziale di ONE PIECE potrebbe arrivare a vendere qualcosa come 812.000 copie a numero... E questo partendo dal presupposto che  in Italia ci fosse una concorrenza paragonabile a quella che c'è in Giappone, quando in realtà non c'è e quindi i numeri potrebbero essere persino più alti!

Però il vantaggio della mancanza di concorrenza in Italia potrebbe essere "compensato" negativamente da alcuni fattori esterni, come il fatto che in Italia le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono il 29% (contro il 16% dei giapponesi), e il fatto che il nostro tasso di disoccupazione è del 12,7% (e in Giappone raggiunge solo il 3,6%)... Per non parlare delle tasse, che in Italia arrivano al 48,1% e in Giappone si fermano ad un più onesto 32,9% (tutti questi dati arrivano sempre dal sito della CIA, quindi presumo che siano attendibili). Senza contare il fatto che i manga in Giappone hanno un supporto mediatico che i fumetti italiani, in Italia, non hanno avuto praticamente mai (e gli adattamenti animati di serie come Diabolik e W.I.T.C.H. non penso proprio che possano fare testo)...

E, inoltre, bisognerebbe considerare il fatto che gli editori di fumetti italiani non riescono a coltivare il nuovo pubblico in maniera continuativa perlomeno dalla fine degli anni '70, e pertanto in Italia non si può contare su un bacino di pubblico ampio e tradizionalmente bendisposto verso i fumetti come quello giapponese. Quindi, se la matematica non è un'opinione, effettivamente in Italia una serie a fumetti che riuscisse a centrare davvero i gusti di un ampio pubblico potenziale, come avviene con ONE PIECE in Giappone, potrebbe comunque toccare le 400/500.000 copie a numero, se non di più.

Eppure questo non avviene.

Anzi: al momento attuale, per il mercato italiano, numeri del genere sono completamente fuori scala... E lo sono ancora di più se si confrontano i dati di vendità di Topolino nel 2014, e cioè 130.000 copie a settimana, con quelli dei più importanti manga magazine giapponesi nello stesso anno. Infatti, pur perdendo un 10% di lettori durante il 2014, il settimanale Shonen Jump vendeva 2.420.000 copie ogni settimana, e il suo collega Shonen Magazine arrivava a quota 1.156.000 copie (CLICCATE QUI). E persino il mensile per bambini delle elementari Corocoro Comic (quello in cui compare Doraemon, per intenderci) vendeva da solo 1.050.000 copie ad uscita...

Facendo le solite proporzioni, quindi, se Topolino dovesse vendere l'equivalente di Shonen Jump, arriverebbe almeno a quota 1.179.000 copie a settimana. E oltretutto, a differenza degli altri fumetti italiani, il settimanale Topolino non può nemmeno dire che gli manca un supporto multimediale paragonabile a quello che hanno i manga in Giappone, visto che il marchio Disney ha vari canali tematici anche in Italia e comunque i personaggi Disney sono presenti praticamente ovunque e da sempre.
Quindi direi che, a questo punto, è abbastanza evidente che per la  progressiva riduzione dei lettori di fumetti italiani non sono determinati le ragioni demografiche.

Certo la storia dell'editoria a fumetti in Giappone e in Italia è stata molto diversa sotto vari punti di vista, ma se tanto mi da tanto la sensazione è che l'attuale situazione italiana sia stata determinata da una serie di scelte sbagliate, più che da un destino ineluttabile. E tirare fuori giustificazioni come il calo demografico e la concorrenza delle nuove tecnologie risulta più pretestuoso che altro... Anche perchè in Giappone sono due fattori che esercitano un peso persino superiore che in Italia, ma non per questo impediscono a Shonen Jump di vendere 2.420.000 copie a settimana.

Certo è anche vero che il Giappone ha un tasso di analfabetismo pari a zero mentre in Italia, purtroppo, gli ultimi dati OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)
parlano di un 47% di cittadini che si possono definire analfabeti funzionali (CLICCATE QUI), e cioè persone che - a vari livelli - non hanno gli strumenti per comprendere appieno quello che leggono (e che ascoltano). Certo, se le cose stanno così e il 47% degli italiani non legge fumetti perchè non ha i mezzi necessari per comprenderli e apprezzarli, si spiegherebbero molte cose... Oppure, al contrario, la posizione del fumetto italiano si aggraverebbe ulteriormente.

Nel senso che se è vero che per l'OCSE il Giappone è al primo posto per quel che riguarda il tasso di alfabetizzazione, e al tempo stesso ha settimanali a fumetti che vendono più di di due milioni di copie alla volta, forse un po' di merito di tutta questa alfabetizzazione va proprio al fatto che produce manga per tutti i gusti e per tutte le età... E per leggerli il pubblico è costretto ad imparare a leggere come si deve fin dalla più tenera età (cosa essenziale se si ha a che fare con una lingua che si scrive in ideogrammi, con tre alfabeti diversi e con numerose varianti gergali). E oltretutto pare che mediamente in Giappone ogni copia venga letta da almeno tre persone diverse, con tutto quello che di buono ne deriva...

Quindi, invertendo la prospettiva, la domanda sorge spontanea: una delle ragioni per cui il 47% degli italiani presenta qualche forma di analfabetismo funzionale potrebbe essere il fatto che non ha mai trovato dei fumetti a cui appassionarsi sul serio fin dalla più tenera età?

Inquietante interrogativo!

Purtroppo non mi risulta che in italia siano stati condotti studi sul rapporto fra analfabetismo funzionale e fruizione di fumetti, ma qualcosa mi dice che degli studi del genere fornirebbero dei dati interessanti.

E d'altra parte non è necessario uno studio per capire come potrebbero innescarsi certi meccanismi.

Prendiamo, ad esempio, la copertina di Topolino in edicola questa settimana...

Le feste non sono ancora finite, ma bisogna dare spazio al campionato di calcio che riparte, visto che ormai - da quando Topolino è passato alla Panini - è diventato ufficiosamente un'estensione degli album delle figurine dei calciatori (CLICCATE QUI)... E quindi, per il primo numero del 2016, è stato scelto un bel disegno di Paperino che palleggia con un panettone...

Una scelta che, incredibile ma vero (*SIGH*), richiama quella del primo numero del 2015...

E quella del 15 gennaio 2014 (almeno per il primo anno iniziato sotto il marchio Panini hanno fatto passare le feste)...

Tecnicamente in queste copertine non ci sarebbe nulla di male, se non fosse per il fatto che delle copertine del genere (che tra l'altro lanciano un messaggio preciso in un periodo dell'anno preciso) risultano refrattarie per: a) tutti i bambini di ambo i sessi che NON sono appassionati di calcio e/o praticano altri sport, e magari sono stufi/e di vedere sempre e solo calcio da tutte le parti, b) tutte le bambine che pensano che una copertina del genere qualifichi il settimanale in senso troppo "maschile", c) tutti i bambini che pensano che una copertina del genere "tradisca" il personaggio di Paperino (che non è mai stato sportivo, e men che meno calciatore), nonchè il vero spirito disneyano e quelli che sono i prodotti Disney oggi e d) tutti  bambini che, avendo sviluppato un minimo di senso critico, non sopportano i service commerciali fini a se stessi e i messaggi subliminali.

E tutto questo ancora prima di avere comprato Topolino e avere letto le storie all'interno.

Ora: poniamo che un bambino o una bambina, dopo questa ennesima promozione calcistica, decida che Topolino non fa per lui/lei... Poniamo che torni in edicola e si guardi attorno alla ricerca di un altro fumetto da leggere... Cosa potrebbe acquistare con lo stesso rapporto quantità/prezzo?

Praticamente nulla... E a quel punto, facilmente, inizierebbe a perdere interesse per i fumetti in generale. Con tutto quello che ne consegue. Anche perchè, tra l'altro, oltre a non avere fumetti per bambini, in edicola - per dirla con un eufemismo - siamo decisamente scarsi anche per quel che riguarda i fumetti per preadolescenti e adolescenti.

Certo i manga e i comics americani potrebbero rappresentare un salvagente, almeno per i lettori più grandicelli, ma a causa del daspo degli anime dalle emittenti italiane (CLICCATE QUI) e dell'imbarazzante livello di complessità che hanno raggiunto i comics americani il "salto" potrebbe non essere alla portata di tutti... Senza contare che comics e manga hanno finito per concentrarsi sempre di più nelle fumetterie, e in Italia le fumetterie sono solo 300 o poco più (una ogni 206.000 abitanti circa), a fronte di 30.000 edicole (una ogni 2000 abitanti circa)...

E questo porterebbe a pensare che, se i manga in Giappone sono così diffusi, è anche perchè il loro sistema di distribuzione è completamente diverso, visto che i manga magazine vengono distribuiti nelle edicole, nelle librerie e nei convenience store (negozi strutturati come piccoli autogrill, aperti giorno e  notte)... Intercettando un ampio pubblico occasionale.



Mentre nelle fumetterie vere e proprie, oltre ai manga magazine, trovano posto i volumetti che raccolgono i fumetti comparsi proprio sui manga magazine (ma anche nelle produzioni amatoriali, sulle fanzine e su internet), i gadget, il merchandising specifico e tutto il resto. I manga magazine di cui sopra, quelli che vendono anche due milioni di copie a settimana, hanno anche un rapporto qualità prezzo molto interessante: oggi un numero di Shonen Jump, ad esempio, ha 500 pagine (su carta poverissima, perlopiù in bianco e nero, e con una buona dose di redazionali, articoli e pubblicità) e costa meno di 3 euro, ma poche settimane dopo lo si può trovare nel mercato dell'usato a meno della metà... E con queste caratteristiche tipografiche e distributive l'editoria nipponica può dare modo ai lettori di "sperimentare" in continuazione nuove storie e personaggi (con puntate di almeno 20 pagine a settimana), per poi fargli decidere in un secondo momento quali saranno quelle che vorranno collezionare in volumetto, decretandone il successo...


Inoltre, con questa formula editoriale, se un autore, una serie o un personaggio  non convincono il pubblico, vengono silurati rapidamente per lasciare il posto a prodotti che riescono a centrare davverio i suoi gusti... E ciò spiega perchè queste riviste continuano ad organizzare concorsi per lanciare autori esordienti e nuove serie... Visto che, a differenza di quanto avviene in Italia, nel mercato editoriale nipponico i lettori (e il loro gradimento) vengono prima di tutto.

Anche perchè i manga si dividono per target, e quindi ogni manga magazine deve venire incontro alle esigenze di un pubblico specifico, che trova gradevole un certo tipo di contenuto e di approccio... E non avrebbe alcun senso prendere in considerazione l'opinione di chi quel contenuto e quell'approccio non lo gradisce a priori. Anche perchè nel tentativo di accontentare tutti si potrebbe finire per non accontentare (quasi) nessuno... Cosa che in Italia, in effetti, capita sempre più spesso, per tanti motivi sui quali sicuramente tornerò in futuro.

In ogni caso, ragionando nel modo sopracitato, anche se il Giappone resta una delle realtà tecnologicamente più avanzate del nostro pianeta, il settore dei manga magazine cartacei (siano essi settimanali, mensili o bimestrali) - nel momento in cui scrivo - regge ancora dignitosamente (CLICCATE QUI) e consta perlomeno di:

2 manga magazine hentai (hard per uomini etero)...

10 manga magazine josei (per donne adulte)...

3 manga magazine kodomo (per bambini piccoli)...

45 manga magazine seinen (per uomini adulti)...

25 manga magazine shojo (per ragazze)...

25 manga magazine shonen (per ragazzi)...

17 manga magazine yonkoma (cioè "a striscie" e/o umoristici in senso lato)...

9 manga magazine con contenuti yaoi (e cioè a base di tematiche gay, anche molto spinte, per ragazze etero)...

Un manga magazine yuri (a base di tematiche lesbiche)...

Senza contare almeno una dozzina di manga magazine dai contenuti "misti" e i bara manga (e cioè i fumetti propriamente gay) ospitati dai tre principali magazine gay "generalisti"...

E tutto questo in una nazione che, se gli alibi utilizzati dal fumetto italiano per giustificarsi fossero validi, avrebbe dovuto dire addio ai fumetti da almeno due decenni... E invece, nonostante un'inevitabile contrazione del mercato cartaceo, il caso del Giappone dimostra che non è il supporto - o l'indice demografico - a fare la differenza, ma il contenuto e la capacità di centrare i gusti del proprio pubblico di riferimento.

Una capacità che, evidentemente, in Italia scarseggia... Anche solo per il fatto che, mentre in Giappone i manga magazine mettono al centro stuoli di bambini e bambine, ragazzini e ragazzine, in cui il giovane pubblico può identificarsi in maniera variegata, dalle nostre parti al centro dell'attenzione restano i protagonisti adulti... Siano essi animali antropomorfi disneyani, eroi intercambiabili della Bonelli o altro...

E anche quando nelle loro storie, o in serie dedicate, compaiono personaggi più "giovani" il messaggio che passa è che siano "adulti in divenire", che i modelli "adulti" sono gli unici possibili e che comunque i "giovani" possono risultare "compiuti" solo una volta che sono diventati adulti e/o si sono ben integrati in un certo tipo di dinamica "adulta", che non lascia spazio a caratterizzazioni alternative a quelle "adulte" che - tradizionalmente - il fumetto italiano porta avanti da una quarantina d'anni...

Col risultato di condizionare e limitare pesantemente anche le proposte più innovative e "centrate" come l'ormai dimenticata (o rimossa?) serie W.I.T.C.H. (che guardacaso si ispirava alle formule estetiche e narrative dei manga, e che a sua volta ispirò una versione manga Made in Japan), portando la testata da picchi di 250.000 copie al mese (nel 2002) ad una fine ingloriosa e anonima (nel 2012)... E, se vi interessa, ho affrontato parte della questione in un altro post (CLICCATE QUI).

E così siamo arrivati al punto in cui, nelle edicole italiane di inizio 2016, non c'è nemmeno un fumetto Made in Italy con un protagonista under 25, o in cui comunque una persona under 25 possa identificarsi... Ed è facile ipotizzare che in questo modo il fumetto italiano si stia giocando un'ampissima fetta di lettori potenziali, che forse non riuscirà mai più a riagganciare...

Con buona pace di chi vuole dare la colpa di tutto alla sorte avversa, alle cause di forza maggiore e al calo demografico.

E comunque, piccola nota a margine, è bene ribadire che in Giappone la componente LGBT non è presente esclusivamente nei manga dedicati a questo specifico tema... E - anzi - accenni, sottotesti e ammiccamenti in questo senso - senza peraltro la fastidiosa componente omofoba e moralista che spesso li caratterizza nei fumetti italiani - possono trovare spazio praticamente in storie di tutti i tipi e per tutti i target.

E, per inciso, ammiccamenti estetici e narrativi in questo senso sono molto evidenti anche nel vendutissimo ONE PIECE... Dove peraltro gli omosessuali più appariscenti (gli okama) e le persone trans hanno addirittura un loro stile di arti marziali e un loro regno, e cioè l'arcipelago di Kamabakka (come spiegato anche nella wikipedia italiana di questo manga)...

E la cosa interessante è che l'autore Eiichirō Oda, in questo caso, si è divertito a giocare con una serie di stereotipi senza mai scadere nella riprovazione, nella commiserazione o nei pregiudizi omofobi. Tant'è che in più di un'occasione i gay di Kamabakka si sono anche rivelati un prezioso aiuto per il protagonista principale...

E a Lucca 2015 i cosplayer di ONE PIECE, tutti molto giovani, erano talmente tanti che hanno potuto animare un raduno con corteo solo per loro (cosa che a Lucca, di solito, avviene solo con i cosplay di STAR WARS e pochi altri)...

E secondo voi a Lucca 2015 quanti erano i cosplayer dei fumetti italiani?
E mediamente quanti anni avevano?
Qualcosa vorrà pur dire...

Alla prossima.