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mercoledì 20 febbraio 2019

IL PARADIGMA DELLA MUTANDA

Ciao a tutti, come va?

Devo essere sincero: settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno mi sembra sempre più spesso di utilizzare questo blog per fare il punto sulla parabola discendente del fumetto italiano. Perlomeno nella sua accezione di intrattenimento popolare e/o per giovanissimi, e mi dispiace davvero. Perchè non penso che si meriti questa fine ingloriosa e perchè sono abbastanza sicuro che ci sia ancora un margine di recupero, anche se il punto di non ritorno è sempre più vicino. 

Del come e del perchè siamo arrivati a questa situazione ho dato la mia interpretazione in una lunga serie di post, che hanno trovato posto da queste parti negli ultimi anni (più o meno all'inizio di ogni settimana), quindi non avrebbe molto senso che ricominciassi a ripetere tutto dall'inizio per l'ennesima volta. Tuttavia la recente riproposta in edicola, e per la prima volta a colori, della serie di Capitan Miki (che debuttò nel 1951 e  che arrivò a vendere anche 250.000 copie a settimana), mi ha offerto uno spunto interessante su cui riflettere.

Anche perchè è avvenuta più o meno in concomitanza con la pubblicazione della terza avventura della nuova serie Bonelli dedicata al giovane Tex Willer, che ha dimostrato come il giovane Tex Willer del 2019 abbia almeno una cosa in comune con il Capitan Miki degli anni Cinquanta...

Da che parte cominciamo?

Probabilmente la cosa più corretta da fare sarebbe un passo indietro all'epoca del Vecchio West. Quello dei cowboys e degli indiani, degli sceriffi, delle diligenze e tutto il resto. In quel periodo storico il concetto di intimo maschile era - ovviamente - abbastanza diverso da quello che abbiamo noi oggi, anche perchè - soprattutto in quel contesto - le esigenze pratiche erano molto diverse.
Infatti l'indumento intimo più diffuso nel west erano i cosiddetti long-johns, ovvero la calzamaglia integrale con una pratica apertura posteriore per facilitare anche i momenti di evaquazione posteriore senza dover fare mille manovre.

I long-johns erano indossati perchè di notte riscaldavano meglio quando si dormiva all'aperto, mentre di giorno assorbivano il sudore e preservavano meglio gli indumenti sovrastanti dall'inevitabile processo di macerazione a cui sarebbero andati incontro se fossero rimasti inzuppati per giorni (anche perchè i grandi eroi del West di sicuro non avevano la possibilità di cambiarsi d'abito molto spesso).

Senza contare che dalla perenne macerazione dei tessuti sarebbero derivate tutta una serie di infezioni (anche fungine), che avrebbero reso la vita impossibile a chiunque.

Di questo indumento intimo arrivò anche una versione in due pezzi (maglietta+braghe di varia misura), ma non venne brevettata prima del 1915, quindi sicuramente non era in uso nel periodo storico che stiamo prendendo in esame. Di conseguenza se ne dedurrebbe che tutte le volte che si sono visti cowboy e sceriffi a torso nudo è perchè in quel momento sotto ai pantaloni non portavano nulla...

Ad ogni modo quando in Italia si diffuse la moda dei film western, e i fumetti seguirono a ruota questa tendenza, chi di dovere - probabilmente - sottovalutò l'importanza di certi dettagli, oppure - più semplicemente - ritenne che disegnare degli eroi che indossavano dei long-johns sarebbe stato controproducente. Un po' perchè quel tipo di abbigliamento, in Italia, era già diventato qualcosa di anacronistico, e perlopiù era associato alle tutine per l'infanzia, e un po' - presumo - perchè in quel periodo i fumettisti italiani non avevano modo di accedere a molti dettagli riguardo alla vita nel West, e compensavano con la loro interpretazione personale di quel contesto.

In ogni caso è probabile che i long-johns divennerò un vero e proprio tabù quando diventarono anche il tratto distintivo di Super Pippo (1965), la versione superpotenziata di un personaggio Disney noto per la sua goffaggine... E che probabilmente indossava i long-johns proprio per prendere in giro i supereroi che - spesso e volentieri - avevano le "mutande" in bella vista sopra la calzamaglia.

Oltretutto non bisogna dimenticare che, perlomeno fino agli anni Settanta, i fumetti western in Italia erano considerati un prodotto per giovani e giovanissimi, e sicuramente quel tipo di pubblico avrebbe fatto una certa fatica ad identificarsi con una serie di eroi (spesso loro coetanei), che indossavano indumenti intimi che - nella migliore delle ipotesi - gli ricordavano i loro nonni o i neonati. Quindi un po' per superficialità, un po' per ignoranza e un po' per intuizione commerciale, quasi da subito gli eroi dei fumetti western italiani iniziarono ad indossare un intimo maschile in linea con quello a cui erano abituati i loro lettori. Capitan Miki, ad esempio, finiva spesso per mostrarsi in canottiera e boxer, come potete intuire dalla tavola qui sotto.

Per la cronaca: le canottiere come le intendiamo oggi iniziarono a diffondersi negli USA come costumi da bagno (visto che per legge americana neanche gli uomini potevano mostrare i capezzoli in spiaggia) all'inizio del ventesimo secolo, mentre i boxer si diffusero solo dopo il 1925. E comunque, anche quando intorno al 1915 l'intimo maschile passò dal pezzo unico alla soluzione maglia/braghetta, nella migliore delle ipotesi ci si trovava di fronte a cose come quelle che vedete sotto, e che sono tratte proprio da un catalogo distribuito negli USA nel 1915...

Quindi diciamo pure che l'idea di rendere l'intimo di Capitan Miki più compatibile con l'idea di intimo che avevano i ragazzini degli anni Cinquanta e Sessanta poteva avere senso giusto per una questione di marketing (così come, per una questione di marketing, tutta la serie aveva trasfigurato la frontiera americana ad uso e consumo dei giovani italiani di quel periodo). Ad ogni modo il caso di Capitan Miki non era per nulla isolato. A titolo di esempio posso citare anche le avventure del Piccolo Ranger, il "clone" di Capitan Miki pubblicato proprio dalla Bonelli (che allora si chiamava ancora Edizioni Audace) a partire dal 1958.

Nel suo caso, però, quando deve  togliersi i vestiti per motivi di forza maggiore scopriamo che indossa addirittura un paio di classiche mutande da uomo... Che probabilmente, nell'epoca in cui erano ambientate le sue avventure, non erano state nemmeno concepite.

Potrei citare altri casi illustri, ma penso di avere reso l'idea. Mi limito a segnalare, giusto per la cronaca, che anche gli storici disegnatori di Tex, quando di tanto in tanto si dilettavano a raffigurarlo in situazioni un un po' sconvenienti, continuavano ad utilizzare l'intimo maschile di cui avevano esperienza diretta, e non certo quello che avrebbe indossato lui se fosse davvero esistito...
Comunque, se nei decenni passati queste scelte potevano essere ascritte anche alla mancanza di documentazione, il fatto che siano portate avanti anche oggi dimostra che a monte c'è una strategia di altro tipo. E qui arriviamo al numero 3 di Tex Willer, arrivato in edicola a gennaio, in cui il protagonista si ritrova a fare il bagno in boxer con una procace indiana (anch'essa con un intimo storicamente insensato)... E a quanto pare conferma la tradizionale interpretazione italiana dell'intimo maschile nel vecchio West... Che, ovviamente, continua ad essere del tutto errata...
Io non posso sapere se sia trattato di una svista, di una distrazione, di una scelta allineata con la "tradizione" di cui sopra o semplicemente di uno stratagemma per rendere il personaggio sempre "cool" evitando di mostrarlo con i long-johns o - come sarebbe stato più logico in questo caso - completamente nudo. Quello che però posso dire con certezza è che questa lunga tradizione in fatto di "rivisitazioni" dell'intimo maschile dimostra che da sempre, per questioni di marketing, si può chiudere un occhio (o anche due) quando si verificano degli "aggiornamenti" di determinati elementi all'interno di queste storie. Soprattutto se non si vuole correre il rischio di cogliere impreparato il pubblico o di compromettere il suo processo di identificazione con i protagonisti... Magari rendendoli più ridicoli del dovuto, per gli standard di oggi, con dei long-johns...


E questa mistificazione dell'intimo maschile è avvenuta anche in un altro fumetto Bonelli di oggi, che in teoria avrebbe dovuto avere un approccio più innovativo nei confronti del fumetto western, e cioè quel Deadwood Dick che pure dovrebbe ispirarsi ad un personaggio realmente esistito: il cowboy afroamericano Nate Love (1854–1921).
Quindi diciamo che tutta questa analisi dimostra fondamentalmente una cosa: che ci sono elementi che, tradizionalmente, nel fumetto western italiano (ma anche in altri generi) vengono da sempre ritoccati per rendere il tutto più accattivante e, in una certa misura, più attuale e commerciale... Però questa filosofia si può applicare solo ad alcuni elementi estetici e narrativi e non ad altri. Se, fin dai tempi di Capitan Miki e del Piccolo Ranger, era tollerabile mettere i boxer e slip ai cowboy per non farli assomigliare troppo a Super Pippo, a tutt'oggi non sembra esserci alcuna reale intenzione di svecchiare i contenuti dei fumetti western (e non solo) introducendo tematiche e situazioni più vicine alla sensibilità di chi è giovane oggi...

Ad esempio sdoganando i personaggi omosessuali (in particolare quelli maschili e non stereotipati), possibilmente intesi nel senso moderno del termine e dandogli un ruolo di un certo rilievo nelle storie. O magari puntando un po' di più sul sex appeal maschile e non sempre e solo su quello femminile... Visto che ormai è una scelta condivisa da tutto il mondo dell'entertainment moderno...

La cosa un po' ironica, in effetti, è che se una volta si temeva che i long-johns suscitassero l'ilarità e l'effetto Super Pippo nel pubblico, e quindi si prendevano provvedimenti, oggi nessuno sembra rendersi conto di quanto l'approccio narrativo di certe serie, sempre uguale a se stesso e quindi sempre più datato, susciti comunque un effetto repellente presso le nuove generazioni... Anche se magari contribuisce a mantenere fedeli quelle vecchie (perlomeno fino ad esaurimento scorte).

Ovvio che, se le cose non cambieranno, e questo "paradigma della mutanda" continuerà ad essere valido solo per alcune cose e non per altre, non basteranno tutte le iniziative editoriali di questo mondo a risollevare una situazione in declino da anni.

Certo: si tratta in ogni caso di scelte legittime, però poi bisognerebbe assumersene la responsabilità e non piangere per la piega che prendono le cose... Cercando sempre nuovi capri espiatori mentre, ad esempio, si lascia che l'età media dei collaboratori - e delle persone che propongono "nuove" idee - continui ad alzarsi di pari passo con quella del pubblico...

Alla prossima.

P.S.  Mi hanno fatto notare che in un'intervista del 1991 a Sergio Bonelli (che trovate CLICCANDO QUI) saltò fuori che effettivamente, all'inizio, i disegnatori della sua casa editrice munirono cowboy e pistoleri di boxer e canotte per mancanza di riferimenti, e che poi - visto che la cosa funzionava (ed era apprezzata dal pubblico) - divenne una tradizione consolidata:

"Perché non usavano i libri, per documentarsi?, potrebbe chiedersi qualcuno. Libri? Libri illustrati sul West, nell’Italia del primo dopoguerra? Sì, i libri esistevano, ma bisognava andarseli a comprare in Inghilterra e America (e quelli illustrati scarseggiavano comunque).
Il primo a farlo fu Rino Albertarelli, pioniere del fumetto italiano, anche di quello western, con il suo Kit Carson degli anni Trenta. Io ne seguii l’esempio. Era cominciata la nostra scoperta dell’America. Già alla fine degli anni Cinquanta, G. L. Bonelli immaginava le storie di Tex con la Guida Fodor del Vecchio West e pile di cartine geografiche accanto alla macchina da scrivere.
I luoghi erano tutti veri (con preferenza per quelli dai nomi più suggestivi, come “Foresta pietrificata” o “Deserto dipinto”), e se Tex doveva andare da una località all’altra, cavalcava quelle tante miglia e ci metteva quelle tante ore, né più né meno. La cartina faceva testo.
Da parte sua, Galep disegnava vere Colt e veri Winchester, vere bottiglie di whisky (non più improbabili fischi di Chinati come ai primordi) e realistici torrioni rocciosi dell’Arizona (non più il profilo del Catinaccio su cui, al posto del Navajos, era facile immaginare i rocciatori di Lecco o di Cortina). Con un’eccezione, però: finché i western antireroici e crepuscolari del glia nni Sessanta non mostrarono cowboy in deshabillé, ignorava (e noi con lui) che i rudi uomini del West portavano come biancheria intima, di preferenza, maglietta e mutandoni lunghi di flanella.
Così Tex, sotto la camicia e i jeans, indossò un’italica canottiera e italici boxer, che al massimo, a Hollywood, si permetteva Marlon Brando in Un tram chiamato desiderio.
E poiché in fondo gli donano di più, continua a indossarli tuttora. Anche i lettori scoprivano l’America insieme a noi della Casa editrice."

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