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giovedì 31 gennaio 2019

PARLIAMO DI MARKETING...

Ciao a tutti, come va?

Qualche tempo fa avevo esposto una mia teoria a proposito del fatto che i dati di vendita dei fumetti, in Italia, tendono a non essere diffusi anche per non compromettere le opportunità "collaterali" che vengono offerte a chi lavora in ambito fumettistico, come ad esempio quelle relative all'insegnamento presso corsi, laboratori e scuole di fumetto (CLICCATE QUI)... Che sbucano un po' come funghi anche se poi il settore non se la passa proprio benissimo, in particolare per quel che riguarda i fumetti che - molto teoricamente - dovrebbero calamitare l'attenzione delle nuove generazioni e contribuire al ricambio dei lettori (e delle lettrici)...

Ne avevo parlato un paio di anni fa, e anche se da allora la situazione delle vendite non ha dato particolari segni di ripresa, le proposte di corsi con annessi e connessi non sono mai mancate... E non solo nelle grandi città. A quanto pare, anche se di questo fenomeno se ne parla molto poco, ci sono dozzine di professionisti che in un modo o nell'altro vengono coinvolti in laboratori di fumetti per le scuole, corsi professionali, workshop e quant'altro un po' in tutta Italia... Forti anche del fatto che non pochi zii e genitori (diciamo persone dai quarant'anni in su), soprattutto se sono appassionati di fumetti, sono abbastanza propensi a pagare questo tipo di corso ai loro figli e nipoti... Soprattutto se sono tenuti da disegnatori/autori/professionisti che erano già sulla breccia quando loro erano dei ragazzini...

Anche perchè poi questo gli darà l'opportunità di potersi vantare con amici e colleghi (coetanei) del fatto che la loro progenie dodicenne ha "studiato" fumetto con quel tale disegnatore di Dylan Dog o con quel tale autore di Topolino e via dicendo... Anche se poi, quando i suddetti dodicenni provano a vantarsi della cosa coi loro compagni, molto spesso si ritrovano in un gruppo di pari che non ha idea di chi sia Dylan Dog, mentre il loro rapporto con Topolino si è fermato alla prima infanzia...

E questo lo riporto in quanto esperienza diretta di una mia amica che insegna arte alle scuole medie. Ovviamente non c'è niente di male nel fatto che un professionista del fumetto voglia arrotondare facendo il docente in corsi di questo tipo, e che per farlo giochi anche sul fatto che NON ci sono dati ufficiali che dimostrano che lavora per testate o editori che hanno dei cali di lettori importanti anno dopo anno...

Magari è eticamente contestabile, ma non c'è niente di illegale, e oltretutto qualche risvolto formativo - questi corsi - ce l'hanno davvero.

Quello che mi lascia perplesso, invece, sono quelle iniziative extemporanee che vengono proposte come un avviamento ad una professione di successo. Anche perchè più passa il tempo e più mi pare che chi lavora nel mondo del fumetto - e non solo in qualità di autore - tenda a ripiegare su iniziative di questo tipo in maniera inversamente proporzionale all'andamento del settore in cui opera. Generando delle situazioni leggermente surreali, soprattutto quando certe iniziative vengono pubblicizzate - con una certa insistenza - anche via social.

Ad esempio, in questi giorni su Facebook mi sta comparendo con insistenza la pubblicità di un "master" in marketing e comunicazione per i fumetti che si terrà a Milano (CLICCATE QUI), alla modica cifra di 1590 euro (ma saranno solo 990 euro per chi si iscrive entro il primo febbraio) per 36 ore distribuite in 6 giornate, fra marzo e maggio.
https://www.napieracademy.eu/master-comics?fbclid=IwAR25K6_CzIgqgHdNbl81RjWDZPaVwlixF93z41D_JoC6HOMqxRsYK3uuboE

Il master sarà tenuto dal Product manager publishing della Panini, dal Publishing Manager della Star Comics e dal Chief Creative Officer della Bao Publishing.  Intendiamoci: dati alla mano Star e Bao hanno un fatturato in crescita (ne ho parlato QUI), ed è pur vero che la Panini è molto presente (e martellante) in vari comparti fumettistici... Però è anche vero che la Star pubblica quasi esclusivamente manga, ormai, e per lo più per il circuito delle librerie e delle fumetterie... Come peraltro fa la Bao con le sue produzioni, e fin dagli esordi. La Panini continua a tenere duro un po' ovunque, forte anche del suo catalogo di prestigio, ma penso che non sia un segreto per nessuno il fatto che Topolino vende sempre meno (al punto da spingere la dirigenza a silurare la direttrice storica, come ho scritto QUI) e che, per riuscire a pubblicare ancora i mensili della MARVEL nonostante il calo di vendite, la Panini abbia dovuto ridimensionarli a 24 pagine, per la modica cifra di  3,50 euro... 

Non essendo un esperto di marketing posso solo dire che, come strategia, non ne afferro il senso (a meno che il fine non sia quello di mantenere in edicola dei titoli "storici" che stavano andando in perdita, e solo per una questione di immagine)... Soprattutto alla luce del fatto che - se  negli USA questo è un formato storico che bene o male continua ad avere senso - da noi la situazione è molto diversa. Tant'è che a fronte del grande successo dei personaggi MARVEL al cinema, è la prima volta che in Italia la loro controparte a fumetti è stata costretta a scelte così drastiche per potersi permettere di andare avanti...

Quindi mi verrebbe da pensare che un master in marketing e comunicazione del fumetto, allo stato attuale in Italia, potrebbe essere finalizzato più che altro ad insegnare delle tecniche base di sopravvivenza - magari allineandole alle aspettative e ai limiti della realtà italiana attuale - che non a piazzare un prodotto e a farlo diventare un "caso" editoriale. Anche perchè, piccolo e non insignificante dettaglio, uno può anche essere bravissimo in fatto di marketing, ma se a monte le scelte editoriali sono compiute da qualcun altro (e sono sbagliate), non basteranno tutti i master di questo mondo per risollevare la situazione. Soprattutto adesso che un buon 50% del marketing viene fatto direttamente dagli autori stessi via internet e senza che l'editore abbia tutta questa voce in capitolo...

Soprattutto nel caso degli autori completi, che diventano nomi di richiamo (se non addirittura dei veri e propri brand a loro volta) a prescindere dai personaggi su cui lavorano.

Se, giusto per fare un esempio, Zero Calcare fosse stato totalmente negato per la tastiera (e se non fosse stato capace di dare voce alla sua generazione) ho dei seri dubbi sul fatto che la Bao, da sola, sarebbe riuscita a trasformarlo in un campione di vendite...

Quindi, a rigor di logica, un master di marketing del fumetto non potrebbe prescindere da un corso di "scouting" per valutare la validità di questo o quell'autore. Il problema, però, è che per come è strutturata l'editoria a fumetti italiana oggi, lo "scouting" resta ancora vincolato a direttori editoriali che sono anche i proprietari della casa editrice stessa... E che, essendo in buona parte ex lettori, vogliono avere l'ultima parola su tutto, prendendo come riferimento la loro esperienza personale e non un target di riferimento effettivo. Anche perchè molto difficilmente (e per motivi che andrebbero trattati a parte) sono in grado di entrare in sintonia con generazioni diverse dalla propria. Senza contare che, in un ambiente estremamente circoscritto come quello dell'editoria a fumetti italiana, in cui da decenni girano perlopiù gli stessi nomi, o i nomi dei loro amici, o i nomi degli amici dei loro amici, è davvero difficile farsi strada solo grazie alle proprie idee e alle proprie competenze (e non solo in fatto di marketing). Magari si può entrare nel giro pià facilmente frequentando delle scuole specializzate in cui i docenti lavorano anche in questo settore, ma penso sia evidente che frequentare una scuola del fumetto nella speranza di entrare nel giro giusto piuttosto che per affinare le proprie capacità sia un controsenso, che oltretutto non fa bene al fumetto italiano in generale.

E si vede.

Di buono c'è che una volta le scuole del fumetto puntavano molto ad uniformare i loro studenti allo stile richiesto dalle case editrici italiane che offrivano più possibilità di lavoro, castrando e non poco i loro guizzi creativi, mentre dopo la rivoluzione digitale e la maggiore accessibilità del mercato estero hanno ampliato i propri orizzonti. Anche perchè, per fortuna, si è scoperto che in Italia ci sono molti autori (e autrici) esportabili... Che hanno anche dimostrato di sapersi muovere in un mercato molto più ampio e competitivo in cui, effettivamente, essere amico dell'amico ha un peso molto relativo... E dove, guardacaso, i dati di vendita sono tutti pubblici...

Questo discorso, però, non si può applicare al discorso del marketing. Perchè, molto banalmente, il marketing che si può (e si vuole) fare in Italia è molto diverso rispetto a quello che sarebbe necessario in altre nazioni. E probabilmente risente molto di una congiuntura non proprio favorevole che si protrae da decenni.

E qui arrivo al motivo per cui parlo di marketing e fumetto oggi. Proprio in questi giorni Marcello Toninelli ha scritto un pezzo molto interessante per Giornale POP (CLICCATE QUI), in cui - molto abilmente - riesce a riassumere un concetto che ho ripetuto molte volte anche da queste parti, e che parte da una domanda molto semplice: con il moltiplicarsi delle offerte in fatto di intrattenimento a basso costo, cosa potrebbe rendere ancora competitivo il linguaggio del fumetto, in particolare per i nativi digitali?

In realtà, leggendo il suo pezzo, la risposta è implicita. Nel senso che il grande punto di forza del fumetto rispetto agli altri media, da sempre, è stato quello di proporre - a costi contenuti e con investimenti limitati - quello che altrove nessuno riusciva a proporre. Ovviamente, adesso che un qualsiasi smanettone può scaricarsi ore e ore di serie TV totalmente gratis, il basso costo è essenziale, ma non può essere considerato il punto di richiamo principale, visto che non si può competere con qualcosa disponibile GRATIS.

Quello che fa la differenza sono i contenuti. Dei contenuti che siano davvero competitivi con quelli delle altre forme di intrattenimento e che magari OSINO quello che - almeno per ora - non viene osato da nessun altro... E soprattutto che intercettino i gusti reali del pubblico che si vuole raggiungere, promuovendoli attraverso i canali che il suddetto pubblico utilizza di più. 

Cercare di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, nel lungo periodo, si sta rivelando sempre più disastroso, così come proporre cose nuove che però restano vecchie dentro nella speranza di continuare a sfruttare il pubblico storico (che in Italia coincide grossomodo con quello dei baby boomer in edicola e della X Generation nelle fumetterie).

Non penso che serva un corso di marketing per arrivare a questa conclusione.

Eppure, molto banalmente, le produzioni italiane che tengono in debita considerazione il bacino dei lettori LGBT e LGBT friendly sono ancora risicatissime... E non intendo le pubblicazioni che si limitano ad inserire personaggi e situazioni LGBT, ma quelle che lo fanno in modo moderno e competitivo, appunto... Per non parlare del fatto che tantissime case editrici non osano nemmeno mettere in rilievo il fatto che questa o quella pubblicazione ha dei risvolti LGBT, cercando di esporsi il meno possibile e puntando tutto sull'eventuale passaparola del pubblico piuttosto che su una promozione mirata...

Anche queste, tecnicamente, sono scelte di marketing.

Se ci sono dietro degli esperti di marketing o meno non lo so, ma sicuramente sono abbastanza indicative del fatto che si dà ancora per scontato che un certo tipo di pubblico non faccia tendenza (o magari fa comodo crederlo), o comunque non andrebbe valorizzato più di tanto per non rischiare di compromettersi agli occhi di un pubblico di altro genere... Quello che magari si è maggiormente consolidato nel corso dei decenni passati.

Anche se poi, ovviamente, il pubblico di una certa età internet lo usa poco e male, mentre i giovani che sono interessati a certi temi lo usano meglio, e così finisce - ovviamente -  che la youtuber Violetta Rocks (che ha giusto 262.000 followers) sul suo canale di recensioni (CLICCATE QUI e segnatevela, perchè oltre ad essere molto gay friendly è estremamente professionale e tanto simpatica) parli di Nine Stones di Samuel Spano e dell'italo manga a sfondo lesbico Butterfly Effect, realizzato da Giulia Della Ciana per l'etichetta Manga Senpai, e non certo delle ultime uscite Bonelli...

Ovviamente ognuno può avere la sua idea di marketing, tuttavia penso che sia estremamente curioso il fatto che, giusto per stare in tema di Bonelli, piuttosto che puntare su temi realmente moderni e di rottura ci si limiti ad andare per tentativi scimmiottando stili e trovate altrui in maniera superficiale e senza riuscire ad orientarsi davvero verso un pubblico di riferimento preciso...

Ultimo, ma non ultimo, tentativo in questo senso pare essere la trasposizione dei romanzi de I Bastardi di Pizzofalcone di Maurizio de Giovanni (che hanno già avuto un adattamento televisivo sulla RAI) in versione animali antropomorfi (e non "furry", come erroneamente indicato da qualcuno... Anche perchè il "furry" è un'altra cosa e la Bonelli non oserebbe mai proporre qualcosa di davvero "furry")...

Devo essere sincero... La prima cosa che ho pensato vedendo questa copertina è che - tanto per cambiare - l'idea è arrivata fuori tempo massimo, e che comunque un prodotto del genere deve essere studiato in funzione dello specifico genere "animale antropomorfo", altrimenti c'è davvero il rischio di fare la figura di quelli che presentano una storia con degli attori che indossano maschere, con un effetto kitch fine a se stesso. Alla Bonelli volevano fare il verso alla serie Blacksad (che comunque debuttò una ventina di anni fa)? Non so... E in ogni caso Blacksad è una serie pensata e sviluppata in funzione del fatto che i suoi personaggi sono animali antropomorfi, e non facendo una specie di "parodia Disney per adulti" di un romanzo giallo più o meno famoso.

E poi ho pensato che nella classifica dell'Hollywood Reporter dei migliori fumetti del 2018 (CLICCATE QUI) facevano bella mostra di sè diversi titoli a base di animali umanizzati, e NATI per essere fumetti a base di animali umanizzati... E fra di loro spiccava la recente reinterpretazione di Svicolone (il puma creato per i cartoni di Hanna-Barbera, e di cui ho parlato QUI  e QUI), nelle vesti di un impresario teatrale omosessuale alle prese con la caccia alle streghe degli anni Cinquanta...

E anche questa, ovviamente, è stata una scelta di marketing da parte della DC Comics, che ha SCELTO di pubblicarlo... Visto che la casa editrice non era obbligata ad accettare la proposta di Mark Russell, e men che meno a promuoverla. Quindi se ha scelto di reinventare in chiave gay un noto personaggio dei cartoni animati, piuttosto che limitarsi a prendere un romanzo di successo e a farlo interpretare dagli animali antropomorfi di Hanna-Barbera, nonostante la loro indubbia popolarità (soprattutto presso le generazioni più stagionate) un motivo ci sarà.

Marketing, appunto.

Però, non so perchè, ma ho la sensazione che questo non sia il genere di marketing fumettistico che viene promosso, e successivamente preso in considerazione, dalle nostre parti.

Voi cosa ne pensate?

3 commenti:

H P L ha detto...

Ciao!

Penso che non sia comunque un caso se la Bao continua a vendere e anche tanto: i suoi titoli sono tra i migliori in itaglia, più vari di quelli bonelli, non hanno paura di osare (anche con le tematiche LGBT), e, seppur circoscritti alle sole librerie e fumetterie, i libri Bao sono a tutti gli effetti prodotti che anche solo esteticamente attirano l'attenzione, e sono belli da collezionare (non che la bonelli non stia tentando la stessa strada già da un po'... ma si limita a ri-editare ciò che aveva già pubblicato...).

Condivido in pieno il discorso dei contenuti, marketing e botte di culo servono, ma servono poco se la qualità di una storia (o di un prodotto vero e proprio) è scadente.

Comunque, azzardo, dall'alto della mia ignoranza in materia, la mia opinione: bisognerebbe cominciare a staccarsi dall'idea di fumetto "seriale", ossia dalla serialità. Non so se sono stupido io a notarlo, ma la quasi totalità dei titoli che vendono, anche a livello globale, sono si serie, ma non seriali - nel senso di mensili -, tipo i titoli Image (Saga, Low, Monstress etc.) o le run dei singoli autori/autrici di marvel/dc. In altre parole, io comincerei a pensare di non portare mensilmente per forza un numero di una serie "x", ma magari di portarne meno anche solo 3-4 l'anno, ma ben fatti. Lo so che detta così suona semplicistico, certo non si tratta di un processo da attuarsi in due giorni, ma se si cominciasse a portare sì più serie, ma non tutte per forza mensili, si eviterebbero già parecchi problemi (per esempio, io generico non dovrei più dannarmi per prendere 15 serie da 12 numeri annui, ma magari riuscirei a seguirne anche 15- o anche più - con soli 2-3-4 numeri l'una... perché, comunque vada a parare il discorso, marketing o qualità della storia e dei suoi contenuti, se non ho i money serve a poco...); a queste serie "non seriali" si aggiungerebbero dei volumi a fumetti fatti davvero bene (come fa già la Bao, ma anche altre case editrici) e magari inediti (coff coff bonelli).

Oh, poi magari sono io che vivo nel mondo delle favole, ma a questo punto, le stanno tentando tutte, tanto varrebbe tentare anche questa strada...

Buonaserata a tutte.

Wally Rainbow ha detto...

Sicuramente se la Bao vende bene non è un caso, ma il punto è proprio che - marketing o meno - coi fumetti quello che conta è il contenuto a monte. Il discorso sui fumetti seriali è molto interessante, e credo che meriterebbe un approfondimento a parte... Anche perchè coglie in pieno uno dei motivi per cui i fumetti USA di oggi vendono mediamente molto meno rispetto ai fumetti USA di qualche decennio fa, anche se la qualità dei disegni è spesso altissima :-) E il perchè i manga in Italia riescono a tenere botta anche se gli anime in Italia non sono più un fenomeno di massa :-) Alla fine nulal accade per caso... :-)

H P L ha detto...

Grazie per la risposta, che condivido appieno.

Sarò onesto; il mondo del fumetto mi ha sempre attirato, anche al di là delle storie in sé, ma, se fino a qualche anno fa (dieci e più anni fa, facciamo...) persino un dodicenne come me aveva abbastanza libertà, anche economica, in termini di scelte di letture, oggi la situazione è estremamente diversa, a quel che mi pare di vedere. Oggi, per qualche motivo a me oscuro ma evidentemente fondato, la gran parte delle case editrici tende a moltiplicare indiscriminatamente il numero di testate (11 volte su 10 mensili...) credendo così di "ampliare l'offerta", per tutti i gusti/tasche/generi del fumetto... che, però, alla fine è una strategia inutile. La bonelli, per esempio, ha sì più testate, ma alla fine, come fai spesso notare anche tu, tutte simili/uguali (qualche anno fa si parlava di dragonero, la "prima serie fantasy" della bonelli, e, come orfani, sembrava essere qualcosa se non di rivoluzionario, almeno di innovativo... poi, meh, si è visto...), oltre che ripetitive, pure fuori tempo e contesto.

Tuttavia, mia personale opinione, il fatto che una serie mensile, magari portata avanti per decenni, tenda a essere ripetitiva, è una cosa fisiologica; se quaranta anni fa scrivere wolverine era comunque qualcosa di nuovo, ora,che si è detto praticamente tutto, che rimane da fare? E infatti, di solito, si cerca, non sempre riuscendoci, di rinnovarsi. Troppe volte, con falsi reboot/ retcon etc. Si peggiorano solo le cose... e vale per tutte le serie. Anche qui, dubito sia un caso che le serie di maggior successo giapponesi, abbiano tutte una fine (magari durano 15 anni o più,come Naruto, ma poi finiscono). Avere dei momenti di stanca è normale, l'ispirazione narrativa non può esserci sempre, ma continuare con politiche editoriali controproducenti è stupido.

Poi, ripeto, ci sono anche altri indubbi problemi, come quelli riguardanti i costi dei materiali etc. Ma se la Bao fa volumi da 15-20-27 € e vende, mentre albi da 4€ no, evidentemente il problema maggiore è realmente dei contenuti...

Buonagiornata.