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giovedì 7 ottobre 2010

ITALIA NOSTRA...

Ciao a tutti e ciao a tutte, come va?
Oggi volevo riallacciarmi ad alcuni commenti a un recente post, partendo però dal coming out di Tiziano Ferro (al quale ovviamente dedicherò l'appuntamento con il VIDEO DELLA SETTIMANA), del quale tutti dovreste essere ormai al corrente... A proposito: avete letto il mio piccolo SCOOP sul giovane Tiziano Ferro e il suo rapporto con i manga a tematica gay? Se non sapete di cosa parlo CLICCATE QUI. In realtà il mio articolo aveva un tono più delicato e avevo scritto tutta un'altra premessa, ma evidentemente in redazione hanno pensato che fosse meglio dargli un taglio un po' più spietato e vagamente pettegolo... Mah! Comunque, SCOOP a parte, volevo farvi notare un piccolo dettaglio che sembra essere passato inosservato, ma che secondo me è abbastanza indicativo... E cioè che Tiziano Ferro ha scelto di fare coming out su VANITY FAIR...
Sicuramente VANITY FAIR deve aver pagato l'intervista fior di quattrini, ma di certo ci sarebbero state altre riviste interessate e disposte a pagare anche di più per avere un simile scoop... Perchè allora proprio VANITY FAIR? Forse sbaglierò, ma tutto considerato sono portato a pensare che la rivista e il cantante si siano venuti incontro perchè, attualmente, VANITY FAIR è forse la rivista più gay oriented presente in edicola (qualche mese fa vi ho segnalato che è stata l'unica ad accennare a Francois Sagat, ricordate?), pur non essendo mai diventata una rivista GAY propriamente detta e pur non schierandosi mai ufficialmente dalla parte della comunità gay e delle sue rivendicazioni. Diciamo che è una rivista "gay" nella misura in cui la parola "gay" fa costume e nulla più. Il punto è che, nel resto del mondo occidentale, i personaggi famosi fanno coming out su riviste propriamente GAY, come ha fatto quest'anno il cantante francese Emmanuel Moire (foto sotto) sul mensile Têtu...
Qualcuno potrà pensare che quel che conta è il coming out e che poco importa dove lo si fa, il che è vero, ma la questione è un'altra: in Italia non c'è una vera stampa gay cartacea di riferimento, e i personaggi famosi che vogliono fare coming out sono costretti a ripiegare sull'edizione italiana di VANITY FAIR... Ha senso? Per come la vedo io non è un dettaglio da sottovalutare, ed è molto esemplificativo di una situazione abbastanza anomala. Qualcuno potrà obbiettare che in Italia ci sono anche riviste gay come PRIDE, CLUBBING, ecc... Ma siamo onesti: si tratta di stampa gratuita distribuita solo nei locali gay ed è fondamentalmente una vetrina per il circuito dei locali (che la mantengono in vita comprando ampissimi spazi pubblicitari). Che poi abbia collaboratori più o meno validi che realizzano articoli, interviste e approfondimenti di pregio è molto relativo: fondamentalmente è una stampa che non esce dal ghetto dei locali, e che - per la sua sussistenza - ospita una buona dose di pubblicità sessualmente esplicita (arrivando a veri e propri annunci di escort). Questa stampa può davvero rappresentare la comunità gay italiana nel suo insieme? Evidentemente no, e soprattutto non può raggiungerla in modo capillare. Generalmente la scusante che si tira fuori in questi casi è che le cose non potrebbero andare altrimenti, che non c'è più bisogno di stampa gay in edicola grazie ad internet e via discorrendo... Ma è proprio così? Premesso che a livello di news internet è imbattibile, è anche vero che gli approfondimenti e le esclusive che può avere una rivista cartacea, se centrano il pubblico di riferimento, possono mantenerla in perfetta salute (altrimenti le edicole si sarebbero svuotate da un pezzo), tuttavia vorrei fare uno dei miei soliti paragoni esterofili per rendere meglio l'idea... Lo stesso anno in cui PRIDE nasceva in Italia, nel Regno Unito nasceva un altro mensile con lo stesso nome - PRIDE MAGAZINE - e che si rivolgeva ad una minoranza nella minoranza: le donne afro-caraibiche...

Vero che fa una certa impressione? Eppure è proprio vero, così come è vero che - nonostante nel Regno Unito ci sia effettivamente un circuito distributivo capillare per le minoranze etniche - l'editore abbia scelto la grande distribuzione e la rivista abbia ancora una rispettabile tiratura di 30000 copie al mese. Ovviamente questa rivista non viene distribuita solo nel circuito dei locali afro-caraibici, così come è ovvio che ha un prezzo e richiede l'impegno da parte della lettrice afro-caraibica che deve andare a chiederla al suo edicolante, invece di ritrovarsela il sabato sera gratis nel locale che frequenta abitualmente (o magari dalla sua parrucchiera di fiducia)... A questo punto qualcuno dirà che è un paragone improprio, visto che per una donna afro caraibica non c'è niente di imbarazzante a richiedere una rivista del genere (che peraltro non ospita nemmeno pubblicità compromettenti), mentre per un gay italiano - che magari vive nascondendosi - diventerebbe uno sforzo immane chiedere regolarmente una copia di PRIDE all'edicolante sotto casa...
Ma siamo sicuri che sia proprio così? Siamo davvero sicuri che una rivista gay di qualità e che sappia centrare davvero il suo target non avrebbe mercato in Italia, soprattutto oggi che i gay dichiarati sono comunque in aumento? Secondo me la stampa gay in Italia è stata sempre penalizzata da giudizi frettolosi e martoriata da una buona dose di incompetenza, più che da un pubblico di gay complessati. Analiziamo qualche dato oggettivo: nei primi anni del 2000 si fece un tentativo di distribuire PRIDE in edicola e di farlo pagare (solo un euro) nei locali. Tentativo fallito miseramente e tutti subito a dire che che non c'era mercato. Ovviamente NESSUNO ha pensato a due piccoli dettagli: nei locali gay non si va per spendere soldi in riviste (anche perchè mediamente chi li frequenta ha tutt'altro genere di interessi e spesso non può nemmeno portarsi PRIDE a casa), mentre proporre in edicola una rivista che è tarata - graficamente e come impostazione - sul pubblico dei locali vuol dire giocarsi il pubblico gay che nei locali non ci va, che paradossalmente era proprio quello che si voleva raggiungere con l'esperimento in edicola. Geniale, vero? E vogliamo parlare di BABILONIA?
La rivista riusciva a vendere anche 10000 copie alla fine degli anni '90, ed era riuscita a sopravvivere a tutta una serie di concorrenti (qualcuno si ricorda ADAM???) che puntavano sugli aspetti più frivoli e meno "dichiarati" della comunità gay... Eppure, dal 2000 in poi, iniziò a declinare e a perdere lettori... E tutti a dire che era colpa del mercato, quando - guardacaso - i guai erano iniziati nel momento in cui aveva cambiato gestione (cosa poi avvenuta per altre due volte), andando sempre più spesso nella direzione che aveva portato alla chiusura di tanti concorrenti più frivoli (come il sopracitato ADAM, che pure aveva tanti servizi esclusivi)... E anche lì tutti pronti a dire che non c'era più mercato, che non c'erano sponsor e che tutti i gay usano internet... D'altra parte l'autocritica non fa parte della cultura gay italiana. E così siamo arrivati ad oggi, senza nemmeno una rivista gay in grado di ospitare il coming out di Tiziano Ferro... Al che mi viene da pensare che, se anche dalle nostre parti ci fosse stata una stampa gay forte e in grado di supportare altri coming out celebri, non avrebbe taciuto per tanto tempo... Qualcuno penserà che è una questione di lana caprina e che è una fortuna che, con internet, non sia più necessario andare a cercare riviste gay in edicole fuori mano... Personalmente sarei più felice se questo si verificasse perchè è possibile trovarle ovunque e perchè nessuno si fa problemi a richiederle al suo edicolante di fiducia, ma è un parere personale. Quello che mi premeva sottolineare è che se un coming out come questo in Italia può trovare posto solo su una rivista di costume passerà per un fatto di costume (fra i tanti), mentre se avesse trovato spazio su una rivista gay sarebbe diventato una questione di principio e, forse, avrebbe assunto un valore simbolico diverso, più profondo e più "sentito"... Rendendo più forte l'identità culturale dei gay italiani. Però stampa gay nelle edicole italiane non ce n'è e non mi risulta che qualcuno voglia riprovare a investirci qualcosa, un po' per paura di perdere soldi e un po' perchè non saprebbe da che parte iniziare, soprattutto considerando che ormai i gay italiani si sono disabituati a cercare cose dichiaratamente gay in edicola... Visto che da anni non ne circolano più (a parte le riviste di annunci, ma quello è un discorso a parte). Morale della favola: sicuramente questo coming out è qualcosa di importante, ma porta con sè anche un retrogusto un po' acidulo, visto che ha messo in luce come i messaggi importanti per la comunità gay in Italia non hanno dei canali "ufficiali" di riferimento, con tutta una serie di implicazioni simboliche non proprio gratificanti.
Voi cosa ne pensate?

1 commento:

Ulisse ha detto...

In Italia è tutto un ghetto. Abbiamo la stampa ghetto, i locali ghetto, le associazioni ghetto, i battuage ghetto. Ovviamente mi riferisco alle cose gay. Vanity Fair è invece una rivista di respiro, non ghettizzante, e ben ha fatto Tiziano Ferro a sceglierla. Forse una decina d'anni fa avrebbe scelto Playboy che parecchi scoop li ha fatti e sulle cui pagine, oltre alle conigliette, ospitava gente di tutto rispetto, politici, artisti, scrittori.
Noi gay italiani invece siamo affezionati ai ghetti, ne è nato proprio uno ieri, l'hanno chiamato Equality Italia, una lobby (l'hanno definita proprio così) di politici ed accozzaglia varia per l'equità dei diritti, presidente una vecchia conoscenza: Aurelio Mancuso. Spero di sbagliarmi e che la lobby-ghetto diventi invece un movimento aperto alla società. Certo però che se Mancuso fa come in Arcigay siamo fritti.
Riguardo a Tiziano ... buona fortuna e, se passi da queste parti, vienimi pure a trovare ^___^