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giovedì 30 agosto 2018

NODI AL PETTINE...

Ciao a tutti come va?

Come saprete, se seguite il mondo del fumetto americano, la MARVEL e la DC sono storicamente in competizione, e hanno una certa tendenza a scopiazzarsi le idee e le strategie di marketing. Neanche tanto tempo fa vi avevo parlato del processo di "sbiancamento" del figlio di Batman (CLICCATE QUI) e oggi mi ritrovo a parlare del ritorno alle origini della mutante Psylocke... Che, dopo trent'anni passati nel corpo di una ninja asiatica, da questo mese riprende le sue fattezze originarie di modella britannica coi capelli viola...
Betsy Braddock debuttò nel lontano 1976 nelle avventure (create dalla Marvel inglese) di Captain Britain (che in Italia è sempre stato tradotto -  erroneamente - come Capitan Bretagna, e non Britannia, ma questa è un'altra storia), di cui era la sorella biologica. Col passare del tempo si scoprì che era una mutante dotata di poteri telepatici e negli anni Ottanta finì per far parte degli X-Men. Poi, nel 1988, a seguito di un'avventura in cui gli X-Men sembrarono sacrificare la propria vita, venne ritrovata con le fattezze di una ninja asiatica. In seguito si chiarì che c'era stato uno scambio mentale con una letale assassina di nome Kwannon (la quale aveva ereditato il corpo originale di Betsy, per poi morire), e da quel momento in poi Psylocke si era adeguata al suo nuovo look... Così come il suo pubblico. Tant'è che nei film degli X-Men è stata interpretata dalla modella di origini cinesi Olivia Munn, senza peraltro che si accennasse ad un suo eventuale passato britannico.

Se non che, dopo trent'anni, si è pensato bene di fare rientrare il personaggio nel processo di "pulizia etnica" che sta investendo la MARVEL ultimamente. Presumibilmente per assecondare le spinte dall'alto di cui ho parlato spesso anche in questo BLOG (CLICCATE QUI per i dettagli). Personalmente ero molto affezionato alla primissima versione di Psylocke, ma non nego che questo ritorno alle origini dopo trent'anni, e in questo particolare periodo storico, mi risulti abbastanza opportunistico e persino un po' odioso.

La cosa interessante, comunque, è che nel 2017 - l'anno in cui la MARVEL ha cominciato a seguire di più una linea d'azione in sintonia con gli ideali dell'attuale amministrazione americana - le vendite degli albi sono crollate del 10% e quelle dei volumi dell'8%... Quindi viene il sospetto che questa strategia non sia esattamente un toccasana, anche se l'intenzione è di continuare in questa direzione.

Certo poi si può dare la colpa alle nuove tecnologie e alle produzioni cinematografiche e televisive che cannibalizzano il pubblico (CLICCATE QUI), però viene il sospetto che il discorso sia più complesso.

Anche perchè le tematiche nuove, potenzialmente, possono attirare un pubblico più differenziato e anagraficamente più giovane, mentre l'approccio tradizionale è quello che va per la maggiore fra gli ex adolescenti degli anni Ottanta e Novanta, che evidentemente si sentono molto legati ad un determinato tipo di contenuto. Al punto da aggregarsi per esprimere il loro dissenso e contribuire a fare pressione su autori e case editrici, mettendo insieme un vero e proprio movimento che - a quanto pare - trova una sponda nello sdoganamento di un certo atteggiamento intollerante da parte dell'attuale classe politica statunitense.

Ovviamente sto parlando del cosiddetto movimento ComicsGate, di cui ultimamente si sta discutendo molto... E che, a quanto pare, sembra che a sua volta stia portando alla nascita di un movimento anti ComicsGate. Siccome la storia è molto interessante ve la riporto qui di seguito.

Che ci crediate o no, secondo alcuni studiosi del fenomeno (CLICCATE QUI), pare che tutto sia partito da Milo Manara (!). O meglio: dalle critiche ricevute dalla sua famosa copertina di Spider-Woman del 2014, accusata di sessismo per via della posizione sensuale de soggetto, resa ulteriormente compromettente dal costume aderentissimo. All'epoca ne avevo parlato anche io (CLICCATE QUI).

Fatto sta che quell'episodio, probabilmente, mise in evidenza che era in atto un cambiamento nel modo di concepire i fumetti americani e la rappresentazione delle donne (e delle minoranze) al loro interno. Inizialmente il dibattito si incentrò sulla questione della censura, della libertà artistica e della repressione sessuale, tant'è che molti artisti reagirono sfruttando l'arma dell'ironia... Come fece Frank Cho con i suoi "omaggi" alla copertina di Manara (CLICCATE QUI). E in quel momento sembrò che effettivamente il fumetto americano stesse prendendo una piega eccessivamente politically correct, censurando certi tipi di copertine e di contenuti, tanto da legittimare un certo tipo di reazione a difesa si una maggiore libertà espressiva...

Che però le cose non stessero esattamente così si è capito più avanti. Prima nel 2015, in occasione di una variant cover di Batgirl 41, quando a seguito delle proteste dei lettori l'editore decise di ritirarla... In quanto troppo misogina e celebrativa della violenza sulle donne. E a quel punto si fece avanti uno schieramento di lettori che rivendicava il diritto di pubblicare copertine che lanciassero anche messaggi di questo tipo...

Poi, nel 2016, è accaduto che l'autrice di una miniserie di Mockingbird per la MARVEL, Chelsea Cain, è stata costretta a chiudere il suo profilo Twitter a causa di tutti i messaggi di odio che le erano pervenuti dopo che aveva fatto indossare alla protagonista una maglietta con una scritta femminista... E per giunta in copertina!

Che si stesse iniziando a delineare uno scenario un po' particolare, in cui si faceva molta confusione fra la critica all'eccesso di politically correct e le rivendicazioni dei lettori più reazionari, contrari ai fumetti favorevoli all'emancipazione di donne e minaranze, divenne chiaro successivamente, e più precisamente nel luglio del 2017. Le impiegate della MARVEL decisero di scattare un selfie per celebrare l'eredità simbolica e morale di Flo Steinberg, che era morta il 23 luglio e per anni fu l'UNICA donna a lavorare nella redazione della neonata MARVEL COMICS.

Per qualche motivo la condivisione di questa foto scatenò il fronte dei lettori conservatori, che si prodigarono in una quantità di insulti e commenti denigratori che lasciavano poco spazio ad eventuali dubbi sulla loro vocazione misogina. A quanto pare i social avevano dato modo a questo fronte di compattarsi e di incitarsi a vicenda. Tanto da ritrovarsi con un nome, ComicsGate appunto, che richiamava un movimento simile nato nel mondo dei videogiochi nel 2014, il GamerGate, e raccoltosi spontaneamente attorno all'Hashtag "GamerGate" (che legittimava chi si accaniva contro le posizioni ritenute troppo progressiste e politically correct nel mondo dei videogiochi).

A quanto pare il ComicsGate è qualcosa di molto simile, nato sui social e diventato via via più presente nelle discussioni pubbliche di settore. Tant'è che adesso ha anche un proprio logo ufficiale e dei siti specializzati di riferimento (come QUESTO).
E ovviamente questo movimento non ha un atteggiamento denigratorio e repressivo solo contro le donne, ma anche nei confronti di tutte le minoranze e verso coloro che - nell'industria del fumetto americano - hanno un atteggiamento troppo inclusivo nei loro confronti. E ovviamente non tollera che i fumetti offrano un punto di vista progressista in senso generale.

Tant'è che i suoi adepti hanno elaborato, nel tempo, vere e proprie liste nere di autori e fumetti da boicottare.

La cosa interessante è che, strada facendo, diversi autori di fumetti e nomi rappresentativi nella critica si sono schierati (più o meno orgogliosamente) dalla parte del ComicsGate, diventandone i portabandiera dalle loro pagine social e dai loro canali youtube (come Richard C. Meyer, che con il suo canale DIVERSITY & COMICS su Youtube - e i suoi 87.000 iscritti - è diventato di fatto il portavoce e il catalizzatore del movimento).

Il principale rappresentante del ComicsGate fra gli autori, invece, sembra che sia diventato Ethan Van Sciver, che lo scorso febbraio ha scritto tanti e tali post di estrema destra sui propri profili social, da spingere la DC Comics ad emanare delle linee guida per il comportamento dei propri dipendenti su internet. E questo, ovviamente, lo ha reso un martire della causa.

E guardacaso da quando è diventato ufficialmente un vate del ComicsGate, Ethan Van Sciver, ha cominciato a sfruttare il crowdfunding per pubblicare direttamente i suoi lavori. Ad esempio: a luglio si è conclusa la sua campagna su Indiegogo per la pubblicazione di Cyberfrog (un fumetto di 48 pagine), grazie al quale ha raccolto più di 500.000 dollari, e cioè oltre il 6000% dell'obbiettivo che si era prefisso! Se non ci credete CLICCATE QUI. Oltre 500.000 $ per il debutto di una rana cyborg in 48 pagine... Non male!

E non è nemmeno un caso isolato nel mondo dei disegnatori che sostengono il ComicsGate. Mitch Breitweiser, fra gli altri, con Red Rooster (60 pagine) ha raccolto 166.000 dollari (oltre il 1000% di quanto gli serviva). Sicuramente saranno tutti autori bravissimi, però a questo punto viene il sospetto che siano anche molto furbi, e che abbiano scoperto che questa storia del ComicsGate può rivelarsi una pentola d'oro.

Ad ogni modo, come vi dicevo, sembra che adesso i sostenitori del ComicsGate abbiano passato il segno, e forse si sta iniziando a costituire anche un fronte anti ComicsGate.

Tutto è partito da un sostenitore del movimento, che su Twitter si firma GromComix, che ha ascoltato un'intervista al fumettista Billy Tucci (che probabilmente, essendo il creatore della scosciatissima bad girl Shi è molto amato dal ComicsGate...) in cui accennava all'esistenza di un'altra intervista, rilasciata da Darywn Cooke... In cui l'autore avrebbe espresso un parere negativo sull'omosessualità nei fumetti.

Darywn Cooke (1962-2016), anni fa, aveva detto che non sopportava l'idea che tanti personaggi dei fumetti diventassero omosessuali per convenienza, e così GromComix aveva scritto su Twitter che se Darywn Cooke fosse ancora vivo avrebbe sicuramente sposato la causa del ComicsGate.

Peccato che, prima di tutto, Darywn Cooke avesse sposato una donna. E infatti non appena la sua vedova Marsha (qui sotto vedete i due assieme, in una fiera inglese del 2015) è venuta a sapere di questa storia è intervenuta su Twitter dicendo, in sintesi, che quelli del ComicsGate erano un branco di asini e che suo marito si riferiva al fatto che non gli piaceva l'idea che dei personaggi importanti cambiassero orientamento sessuale per una questione di marketing. Ha poi aggiunto che per lui l'omosessualità - o l'integrazione delle minoranze - non era assolutamente un problema, e che avrebbero fatto meglio a rispettare la sua memoria.

Non l'avesse mai fatto!

A quel punto quelli del movimento ComicsGate si sono coalizzati contro di lei riversandole addosso tutto il loro livore.

Però, a quel punto, è successo qualcosa di inaspettato...

Diversi autori, tra cui molti amici di Darywn Cooke, hanno deciso di ribellarsi e di iniziare a reagire. Alcuni, come Jeff Lamire (CLICCATE QUI), hanno lanciato un vero e proprio appello dai loro blog e dai loro social.

Su Twitter Jeff Lamire ha proprio scritto: «Il ComicsGate si basa sulla paura, sull’intolleranza, sul bigottismo e sulla rabbia. I giovani fumettisti di oggi sono troppo talentuosi, intelligenti e rumorosi per essere battuti da questi deboli individui. Dobbiamo iniziare a difenderci a vicenda».

Altri nomi storici, come Bill Sienkiewicz, sulla loro pagina Facebook hanno scritto lunghi e incazzatissimi post, e proprio su quello scritto da Bill Sienkiewicz (CLICCATE QUI) si legge, fra le altre cose, che «I fumetti non sono un club per soli uomini. I fumetti non sono un club con scritto “vietato entrare ai (inserite qualsiasi gruppo etnico, religioso, preferenza sessuale, gender)”».

Niente male.

Comunque, a partire dallo scorso sabato, i profili Twitter di tantissimi autori di fumetti americani hanno iniziato a condividere questo messaggio (lanciato dallo sceneggiatore Tom Taylor):

"Io credo che i fumetti siano per tutti.
Che non debbano essere una scusa per aggredire e odiare il prossimo.
Non ci deve essere posto per omofobia, transfobia, razzismo o misoginia fra chi parla di fumetti."


Esemplare, direi.

E qualcosa mi dice che siamo solo all'inizio di un muro contro muro che sicuramente avrà ancora degli sviluppi in futuro.

E ovviamente vi terrò aggiornati su questo blog.

Alla prossima.

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martedì 28 agosto 2018

CAMBIAMENTI?

Ciao a tutti, come va?

Un'altra estate si avvia verso la sua fase finale, e forse varrebbe la pena di fare un po' il bilancio della situazione, ad esempio per quel che riguarda la situazione del fumetto italiano. Giusto per capire quali potrebbero essere le tendenze del prossimo futuro. Anche se forse la parola "futuro", in questo caso, potrebbe non essere quella più indicata.

Cominciamo dall'annuncio della chiusura dell'ennesima collana storica di ristampe, quella cartonata, dedicata a Dylan Dog. Infatti col numero 75 e uno stringato comunicato (in perfetto stile "Posta del Cuore") è stata annunciata la chiusura del trimestrale Dylan Dog Super Book, che usciva in tutte le edicole dal 1997.

Non che la cosa debba sorprendere più di tanto (visto che anche la serie regolare vende sempre meno, e il ricambio generazionale dei lettori sta rallentando sempre di più), ma il fatto che le collane di ristampe (che tanto hanno contribuito alla fortuna dei personaggi cult di un certo fumetto popolare italiano) stiano chiudendo con sempre maggior frequenza è molto indicativo. Tant'è che il fenomeno riguarda anche le pubblicazioni disneyane: a partire da settembre, infatti, chiuderanno Disney Definitive Collection, Le Parodie Collection e - soprattutto - PK Giant ( a soli nove numeri da quella che sarebbe dovuta essere la sua naturale conclusione). Se non altro, in questo caso, su Facebook è stata data qualche spiegazione.... Relativa al progressivo abbandono dei lettori stessi.


Probabilmente quelli che fino a poco tempo fa erano considerati i muri portanti del fumetto italiano stanno iniziando a vacillare, e all'orizzonte non sembrano profilarsi dei degni sostituti. Anche quando si tenta fino all'ultimo di rilanciare dei personaggi più recenti, su cui si puntava molto (e sul quale si era anche investito tanto a livello economico). Esemplare è il caso di MORGAN LOST. Dopo una prima serie di 24 uscite nel classico formato "bonelliano" (seppur stampato in bicromia) è stato rilanciato in formato comic book a 64 pagine per nove uscite... E anche questo esperimento pare giunto al capolinea.

Dopodichè, pare, si tenterà la carta di una miniserie di due numeri che coinvolgerà anche Dylan Dog (sempre lui), che a quel punto sarà determinante per il futuro editoriale di un personaggio che, in effetti, fin da subito non è che promettesse molto bene (CLICCATE QUI).

Si parla poi di una nuova miniserie per Morgan Lost a partire dall'anno prossimo, però in questi casi non si capisce mai quanto queste scelte siano motivate da una reale intenzione di mandare avanti una serie e quanto siano motivate dal fatto che - essendo pianificate con anni di anticipo e avendo pagato in anticipo sceneggiatori, disegnatori e tutto il resto (coi quali peraltro si è firmato un regolare contratto) - si cerca minimizzare le perdite e di spremere lo zoccolo duro di lettori fino all'ultimo. Un po' quello che, si dice, sta avvenendo nel caso di ORFANI... Altra serie che doveva rivoluzionare il fumetto italiano, ma che si è ridotta a comparire sotto forma di miniserie sempre più brevi (e sempre meno seguite), fino ad arrivare agli attuali speciali che dovrebbero avere una periodicità annuale.

E questa è giusto la punta dell'iceberg.

Al che si potrebbe pensare che il problema sia nella crisi generalizzata del fumetto, nel fatto che i tempi sono cambiati e che questa forma di intrattenimento - in quanto tale - è destinata a non avere più il pubblico di una volta. Poi, però, succede che la rivista francese Livre Hebdo pubblichi la classifica delle tirature con cui verranno distribuiti i volumi a fumetti che debutteranno all'inizio dell'autunno in Francia, e i primi dieci li trovate elencati qui sotto...
  1. Blake et Mortimer vol. 25, Dargaud, 420.000 copie
  2. Lucky Luke vol. 80, Lucky comics, 400.000 copie
  3. Lou ! vol. 8, Glénat, 270.000 copie
  4. L’Arabe du Futur vol. 4, Alary, 250.000 copie
  5. Les vieux fourneaux vol. 5, Dargaud, 250.000 copie
  6. Les Légendaires vol. 21, Delcourt, 200.000 copie
  7. Les Nombrils vol. 8, Dupuis, 160.000 copie
  8. Les passagers du vent vol. 8, Delcourt, 150.000 copie
  9. Le chat pète le feu, Casterman, 150 000.000 copie
  10. Les Sisters vol. 13, Bamboo, 150.000 copie

Al di là dei grandi classici cult, tipo Lucky Luke, penso che sia interessante notare che in questa particolare classifica compaiono anche diversi titoli per ragazzi, come Les Sisters e Les Légendaires, che tra l'altro sono relativamente recenti (la prima e partita nel 2006 e la seconda nel 2004)... E ovviamente si parla di serie fresche e moderne, con risvolti leggeri e con palesi influenze manga sapientemente gestite (e spesso prepubblicate su periodici per ragazzi come Le Journal de Mickey o Spirou).


Quindi, forse, la prima cosa da chiedersi sarebbe quali sono le strategie che si applicano in Francia e non in Italia, e magari pianificare le mosse successive partendo da lì. Tuttavia la sensazione è che, nelle edicole sempre più desolate, nessuno voglia (o sia in grado) di fare i conti col fatto che per rinnovare il pubblico occasionale bisognerebbe prima di tutto rinnovare le idee, l'approccio e - probabilmente - anche il parco autori. Senza contare che, forse, potrebbe anche essere il caso di capire che il concetto di "giovane" e di "moderno" si applica prendendo come punto di riferimento l'anno in corso e il tempo presente.

Sembra una banalità, ma forse tanto banale non è.

Se ora siamo nel 2018, ad esempio, una collocazione temporale superiore a venti/venticinque anni fa è percepita come anacronistica, e  NON basta - da sola - a svecchiare idee e personaggi... Anche se, prendendo come riferimento un pubblico con un'età media abbastanza alta, ci si potrebbe illudere di avere "svecchiato" un personaggio trasformandolo da un reduce della Seconda Guerra Mondiale a un reduce della Guerra del Vietnam. E cioè realizzando quella che negli USA definiscono una banalissima retcon (contrazione di retroactive continuity, e cioè alterazione retroattiva degli eventi).

Forse qualcuno di voi avrà intuito che mi riferisco al rilancio di Mister No (storico personaggio Bonelli pubblicato dal 1975 al 2006, che viveva le sue avventure in Amazzonia fra il 1951 e il 1969), che verrà presentato in una serie dedicata alla sua giovinezza... Spostata in avanti di 25 anni per renderlo meno "datato", con la conseguente necessità di aggiornare il suo background militare... Presumo anche nell'ottica di renderlo più "spendibile" per i già annunciati progetti multimediali che dovrebbero coinvolgerlo (CLICCATE QUI).



In realtà potrebbe sembrare una trovata audace (come il nome dell'etichetta sotto la quale queste storie dovrebbero comprarire), ma a ben guardare non si capisce bene dove si voglia andare a parare. Nel senso che "attualizzare" un personaggio del genere facendogli vivere le sue avventure dalla fine degli anni Sessanta in poi può risultare intrigante giusto per gli ex giovani degli anni Sessanta/Settanta (e forse Ottanta, vista tutta la cinematografia sul Vietnam prodotta in quel periodo)... E cioè per buona parte dello zoccolo duro dei lettori della casa editrice... Che magari potranno essere ulteriormente spremuti, ma che di certo non determineranno un rinnovamento (o un ampliamento) reale del pubblico della casa editrice.

Men che meno fra i giovani.

D'altra parte se, negli USA, le origini di Iron Man sono state posticipate al punto da fargli progettare la sua prima armatura mentre era prigioniero dei Talebani in Afghanistan (e quindi parliamo di un conflitto iniziato nel 2001 e ancora in corso), un motivo ci sarà. E infatti quell'idea è stata ripresa, in parte, anche nei film...

Ad ogni modo penso che il caso di Mister No (al secolo Jerry Drake) sia interessante anche sotto altri punti di vista. Anche perchè adesso il pubblico potenziale è molto più attento ai dettagli rispetto al passato, e comunque questo progetto dovrebbe tenere maggiormente conto - rispetto al passato - di vari aspetti del contesto storico/geografico in cui si muove il personaggio. Soprattutto nell'ipotesi di renderlo davvero interessante per il mercato internazionale.

Anche perchè altrimenti c'è il rischio di renderlo inverosimile, poco credibile e - soprattutto - poco coinvolgente per un pubblico che non si accontenta di poco (e che è sempre più numeroso).

E in effetti le tavole mostrate in anteprima, quelle ambientate in Vietnam, ce lo mostrano in compagnia di commilitoni candidi come mozzarelle, quando in realtà il conflitto in questione era stato combattuto da una grande percentuale di ispanici e afroamericani (anche perchè non avevano la possibilità di farsi esonerare con la scusa del College, ad esempio). Ovviamente non posso basarmi su tre sole tavole per trarre delle conclusioni al riguardo, ma qualcosa mi dice che se un dettaglio così importante è stato trascurato potrebbero esserci anche altre lacune non da poco.

Anche perchè questa miniserie (prevista in sei uscite in edicola, e in tre in libreria), racconterà le vicissitudini di Mister No prima della sua esperienza in Amazzonia, ed è prevista una buona parte della vicenda ambientata a San Francisco...

Ora: già nel 1964 la rivista LIFE definì San Francisco come "la capitale gay d'America", visto che la città era diventata una specie di terra promessa per tanti omosessuali arruolati in marina che - dopo la Seconda Guerra Mondiale - non volevano più rientrare nei loro paesini sperduti, e la sua fama "gay friendly" si era ulteriormente rafforzata con l'arrivo della cultura beat e con altri movimenti culturali/giovanili/alternativi (e mediamente molto permissivi dal punto di vista sessuale) che in quella città avevano trovato un terreno molto fertile. E infatti, prima ancora della rivolta dello Stonewall Inn a New York, San Francisco aveva già le sue associazioni gay per la tutela degli esercenti gay e degli omosessuali che vivevano in condizioni disagiate... Per non parlare dei locali più equivoci e della vita notturna della città. Qui sotto potete vedere alcuni filmati d'epoca, che ovviamente non ne parlavano granchè bene.
Quindi la domanda è: in qualche modo la presenza di Mister No nella San Francisco degli anni Sessanta lo metterà a confronto anche con questa realtà, oppure la questione verrà completamente ignorata?

In effetti questi sarebbero tutti spunti molto interessanti per svecchiare e vivacizzare l'immagine di questo personaggio, nonchè per rendere le sue vicende più intriganti e verosimili, e più invitanti per eventuali produzioni internazionali... Però ho come il vago sospetto che il peso del pubblico di riferimento della casa editrice (e il peso della sua impostazione narrativa) sarà tanto e tale che, alla fine, l'approccio a tutto il progetto sarà estremamente tradizionale e sobrio. E soprattutto a prova di lettore bonelliano standard. Nonostante l'etichetta "Audace" che comparirà in copertina.

Anche se poi, siccome tutto è relativo e parliamo di una casa editrice molto autoreferenziale, sicuramente chi di dovere sarà convinto di avere realizzato un prodotto "di rottura". E magari la "rottura" ci sarà davvero, se si prendono come riferimento i lettori fra i cinquanta e i settant'anni. Il problema è che non dovrebbero essere loro il punto di riferimento principale. Non se si vuole uscire dalla situazione di stallo in cui il fumetto italiano si è andato a cacciare da alcuni decenni.

La stessa situazione che - evidentemente - ha spinto la Hachette a sperimentare sul territorio nazionale una collezione di statuine dedicate a Diabolik, anche se la popolarità del personaggio è in caduta libera da decenni...

Evidentemente il fumetto italiano non offriva altri personaggi altrettanto iconici a cui dedicare una collezione di questo tipo. Il che è tutto dire (soprattutto considerando che i personaggi ricorrenti di questo fumetto sono davvero pochissimi, e hanno quasi tutti un'aria estremamente anonima)...

Però le cose stanno così, a quanto pare, e sembra che nonostante tanti schicchiolii e tanti segnali che diventano sempre più inequivocabili si continuino a commettere gli stessi errori... E a mantenere le stesse abitudini.

Se le cose continueranno ad andare in questo modo, e si evolvono con rapidità crescente, cosa succederà da qui a una decina d'anni?

Vedremo un po'.

Alla prossima.


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giovedì 23 agosto 2018

MANGA GRATIS!

Ciao a tutti, come va?

Per oggi voglio provare a staccare la spina dalle traversie del fumetto occidentale, e soprattutto dalle magagne del fumetto italiano, per andare a parlare di un esperimento interessante che - tanto per cambiare - viene portato avanti in Giappone... E più precisamente dalla catena di locali gay Eagle, che ha da poco inaugurato l'Eagle Tokyo Blue, che a quanto pare è il più grande gay bar nella regione del Kanto.


Nonchè quello con gli acquari (!) più sfarzosi, presumo.


Purtroppo in queste foto non si vede bene, ma uno dei pezzi forti del locale è una lunga parete tappezzata dai bara manga di JIRAIYA, che realizzerà presto un disegno murale come quello già presente nell'altro locale Eagle di Tokyo... Che è diventato una vera e propria meta di pellegrinaggio per tutti i clienti, che ormai non possono uscire senza essersi fatti la foto ricordo che poi verrà condivisa  sui social. Qui sotto ne vedete qualche esempio.


Giusto per dimostrare quanto i bara manga siano entrati a far parte della cultura gay pop giapponese. E infatti i bar EAGLE di Tokyo vendono anche tutta una serie di magliette e gadget esclusivi...
E fanno anche da emporio per i prodotti realizzati da vari mangaka che si sono fatti notare sui periodici gay nipponici o su internet...




Inoltre questi bar - che hanno una chiara vocazione bear - hanno anche un pcchio di riguardo per i gadget dell'orsetto Kumagoro, che si sta avviando a diventare la versione gay bear di Hello Kitty.




E questo basterebbe per stendere un vielo pietosissimo su quanto i fumetti (e la loro estetica) vengono valorizzati dalla cultura gay italiana. E il suddetto velo andrebbe poi a calare su tutti quei discorsi a proposito del fatto che i fumetti - anche quando non sono considerati "roba per bambini o per sfigati" - sono finiti, che sono superati e tutto il resto... Però, siccome questo è un blog che prova un sottile e perverso piacere a infilare il dito nella piaga, oggi volevo segnalarvi che i suddetti locali hanno contribuito alla nascita e al lancio del marchio Nippodanji (che si occupa materialmente delle magliette e dei gadget), di cui trovate il sito ufficiale CLICCANDO QUI.

Il quale marchio ha pensato bene di avventurarsi anche nel mondo della free press distribuita nei locali gay, con una pubblicazione che si chiama - appunto - Nippodanji Magazine... E il cui pezzo forte sono i bara manga realizzati dagli artisti che realizzano i disegni per gadget e magliette! Che ovviamente vengono distribuiti GRATUITAMENTE a tutti i clienti...



Un'idea talmente banale da risultare geniale: tu promuovi i soggetti dei tuoi gadget REGALANDO i manga di cui sono protagonisti. Così tu vendi più gadget, la gente li indossa e fa pubblicità sia al tuo marchio che ai mangaka coinvolti. Inoltri rendi ancora più popolari i locali che partecipano a tutta l'operazione, che ovviamente hanno una percentuale su quanto vendono. Tutti sono contenti e, oltretutto, innescando questo circolo virtuoso rendi un servizio ai bara manga in senso lato.

Oltretutto gli ideatori di Nippodanji hanno pensato bene di fare una pubblicazione bilingue giapponese/inglese, che infatti viene distribuita anche al di fuori del Giappone (assieme ai loro gadget, ovviamente). Qui sotto vedete le parti del mondo in cui è al momento reperibile (il più vicino all'Italia penso sia ad Amsterdam).

Comunque sono lanciatissimi e sono sempre alla ricerca di nuovi punti appoggio in tutto il mondo (bar, negozi, librerie o altro). Se per caso passasse di qui qualcuno interessato a contattarli, o magari un qualche editore italiano che avesse il buonsenso di avviare una partnership di qualche tipo con loro - magari in vista di Lucca Comics & Games 2018 - li può contattare all'indirizzo shop@nippondanji.net o tramite la loro pagina facebook ufficiale (che trovate CLICCANDO QUI).

Ad ogni modo direi che questo sembra proprio un fulgido esempio di come le cose potrebbero (e dovrebbero) andare, in un contesto collaborativo, vivace e libero da pregiudizi, se non altro.

Nel frattempo la free press gay italiana si avvia rapidamente all'estinzione, e ovviamente non le è mai venuto in mente di puntare su iniziative - o collaborazioni - come quella di Nippodanji.

Ben le sta, a questo punto.

Alla prossima.

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