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venerdì 19 aprile 2019

MEGLIO APPROFONDIRE...

Ciao a tutti, come va?

Poco tempo fa è stata messa online un'intervista a Michele Medda, uno degli ideatori di Nathan Never. L'intervista in questione (che potete leggere integralmente CLICCANDO QUI) offre diversi spunti di riflessione interessanti, anche se - come spesso accade in questi casi - non rimandando un'immagine particolarmente positiva della situazione, è stata bellamente snobbata da buona parte dei siti specializzati, che hanno preferito non darle peso...

Ovviamente, dato che questo blog non trae alcun vantaggio dal non parlarne dal non commentarla come meglio crede, qui di seguito potete trovare alcuni passaggi che  secondo me sono particolarmente illuminanti su tutta una serie di questioni.

Michele Medda inizia dicendo che:

"Ogni nuovo medium toglie materialmente un po’ di terreno sotto i piedi agli altri media. È sempre stato così, e così sarà. Il fumetto in Italia soffre particolarmente perché, a differenza del cinema, non si è strutturato in un’industria. È andata così, non c’è niente da fare. Questo non toglie nulla alla specificità del mezzo, che rimane, come dicevo prima, una forma di espressione molto personale e con margini di libertà creativa sconosciuti a cinema e tivù. Non morirà, ma si ridurrà ai minimi termini, e con una qualità media sempre inferiore. Poi, è chiaro, non si può uccidere il talento, per fortuna. I talenti ci saranno sempre… Ma stanno bruciando i campi dove il talento può crescere. E questo è un problema della cultura italiana da almeno vent’anni, non è un problema esclusivo del fumetto."


Quindi specifica che:

"In realtà, un’industria vera e propria del fumetto – cioè una massiccia produzione autoctona e diversi concorrenti in un mercato con cifre importanti – si è sviluppata solo negli Usa e nell’area franco-belga. Da noi si è avuto un inizio di sviluppo “industriale” del settore, a cominciare dagli anni Sessanta. Ma tutto era già finito negli anni Ottanta: sono rimasti sulla piazza solo pochi editori, così diversi tra di loro da non farsi mai concorrenza. E dunque, ogni volta che una casa editrice chiudeva, non ce n’era nessuna abbastanza simile da rimpiazzarla. Per quale complesso di cause (perché sicuramente ce n’è stata più d’una) sia avvenuto questo, sinceramente non lo so. E al punto in cui siamo, è anche inutile chiederselo."

E aggiunge che:

"E poi non esiste un “grande successo” delle graphic novel. Esiste il successo di un paio di autori che fanno grandi numeri. Ma le graphic novel vendono, se va bene, mille copie. Se poi si va a fare la media le cifre sono più basse. Le graphic novel hanno eco sulla stampa (ma “eco” non significa “successo”) solo se hanno temi engagé o comunque spendibili mediaticamente: i migranti, la mafia, il Medio Oriente, un’infanzia difficile, “Ho-scoperto-di-essere-gay”, queste cose qua. Sono cose per un’élite che legge l’Huff Post o Internazionale, e che dà credito a quelle tematiche lì, non ai singoli autori."

E infine pronostica che:

"Tra qualche anno il fumetto popolare (inteso come fumetto seriale) non ci sarà più, quindi questa dicotomia sparirà. Problema risolto. A quel punto ci saranno solo graphic novel, quindi sarà interessante vedere con quale criterio spocchioso si distingueranno le graphic novel di serie A da quelle di serie B. Il fumetto seriale a cadenza mensile sparirà perché c’è la crisi del cartaceo. Chiudono le edicole e falliscono i distributori, quindi si vendono meno giornali, e quindi chiudono altre edicole e falliscono altri distributori. Un serpente che si morde la coda. Poi, certo, le serie continueranno a esistere in libreria, così come esistono le serie di romanzi con protagonista fisso. Ma ovviamente non sarà possibile strutturare le serie così come le abbiamo conosciute, come prodotto di uno staff di autori, con uscite mensili e con una stretta continuity."

Ovviamente ciascuno di questi interventi meriterebbe un post a parte, ma volendo i concetti fondamentali si possono riassumere in poche righe. Cominciamo dall'inizio: perchè il fumetto italiano non si è mai strutturato come un'industria? Siamo davvero sicuri che la risposta sia così complicata?

Se si ripercorre la storia del fumetto in Italia non è difficile capire che - fin dagli inizi (e parliamo degli inizi del Novecento) - nel nostro paese chi pubblicava fumetti faceva parte di un qualche grande gruppo editoriale, che si occupava di fumetti solo in maniera marginale, oppure era un piccolo imprenditore che si lanciava nell'avventura di aprire una piccola attività a conduzione famigliare. E questa situazione era ben delineata fin dagli anni Venti/Trenta del Novecento, potendosi riassumere nella dicotomia fra il Corriere dei Piccoli (che era un supplemento del Corriere della Sera) e l'Avventuroso (che era pubblicato dalla casa editrice Nerbini di Firenze)...

Nel primo caso il destino delle pubblicazioni è sempre stato legato ai chiari di luna dei piani alti e ad una serie di scelte aziendali non sempre assennate (anche perchè spesso a monte chi decideva non era un esperto di editoria a fumetti)... Che spesso hanno portato alla decadenza (e poi alla morte) testate a dir poco gloriose...

Nel secondo caso chi aveva avviato una casa editrice a conduzione famigliare difendeva con le unghie e con i denti la sua posizione dirigenziale (che spesso era anche plenipotenziaria, nella misura in cui il proprietario/titolare della casa editrice ne era anche il direttore editoriale, e in molti casi anche un autore di punta della stessa...), anche perchè sperava sempre di passare il tutto alla propria progenie, dando per scontato che sarebbe stata altrettanto motivata e/o capace. Peccato, però, che certe passioni non si ereditino in automatico, e tantissime case editrici, che pure avevano ottenuto buoni risultati, sono sparite nel nulla  nel giro di una generazione o due al massimo... Anche perchè, anche ammesso che un qualche figlio o parente avesse voluto rilevare l'attività di famiglia, non era affatto detto che volesse utilizzarla per pubblicare fumetti... Oltre alla sopracitata Nerbini (che è ancora  attiva pubblicando tutt'altro), si potrebbero citare tantissimi altri casi di questo tipo. E così le poche case editrici di fumetti a conduzione famigliare che sono sopravvissute per più di quarant'anni, e che hanno continuato ad occuparsi di fumetti, sono state quelle in cui la tradizione famigliare è riuscita a perpetuarsi in qualche modo, o in cui si è fatto avanti un qualche figlio "adottivo" cresciuto in redazione...

Questa situazione abbastanza particolare, ed estremamente caratteristica del nostro paese, ha poi innescato un diabolico meccanismo, per cui chi riusciva a sopravvivere per più tempo, e a consolidare la sua posizione sul mercato, poteva garantire condizioni di lavoro più allettanti ai professionisti del settore, che finivano inevitabilmente per fare la gavetta altrove col fine dichiarato di iniziare a lavorare con le poche case editrici di cui sopra, una per tutte la Bonelli, che pian piano hanno finito per cannibalizzare la concorrenza, dettando per diversi decenni le regole del gioco... Anche perchè mancando di fatto una concorrenza vera e propria, potevano permettersi di riproporre all'infinito (e con minime varianti) lo stesso stile narrativo e lo stesso tipo di personaggio... Forti del supporto del proprio pubblico storico. Inondando le edicole con le loro pubblicazioni, non lasciando agli editori emergenti lo spazio fisico per emergere e impedendo al fumetto italiano di organizzarsi come un'industria.
Però, come riferisce Michele Serra, qualcosa inizia a incrinarsi già dagli anni Ottanta, e cioè quando il ricambio generazionale inizia ad interrompersi con l'arrivo della prima vera forma di concorrenza per il fumetto italiano... E cioè le serie animate giapponesi, che hanno rivoluzionato i gusti di buona parte dei potenziali lettori nati dalla seconda metà degli anni settanta in poi... Da notare che le serie animate giapponesi si ispirano a dei fumetti, che però - a differenza si quanto accade in Italia - sono il frutto di un mercato estremamente variegato e ricco di case editrici che si fanno la guerra per accalappiarsi un gigantesco pubblico diviso per fasce d'età e con molteplici interessi...

Quindi, indirettamente, le serie animate giapponesi hanno abituato il pubblico italiano ad un altro modo di intendere le produzioni per ragazzi... E da quel momento in poi almeno due generazioni di lettori sarebbero cresciute  trovando i fumetti italiani standard in buona parte "superati", dato che fondamentalmente seguivano ancora gli schemi degli anni Cinquanta e Sessanta  e mai si sarebbero sognati di toccare argomenti e situazioni che per le produzioni nipponiche - a cui anche gli italiani si stavano abituando - erano all'ordine del giorno. Ovviamente la questione venne ampiamente sottovalutata, tant'è che fu necessario aspettare che quella prima generazione di ragazzini crescesse per avere le prime fanzine che si occupavano di manga e anime, dai cui sono stati poi prelevati i primi consulenti editoriali da assumere per lanciare i manga in Italia nel modo più giusto...

Probabilmente, se dal 1989 in poi le maglie della censura televisiva non si fossero strette sempre di più attorno alle produzioni giapponesi, adesso il fenomeno avrebbe raggiunto livelli difficilmente immaginabili, anche se tutt'ora si difende molto bene. In ogni caso questo è stato solo l'antipasto, visto che con internet e le connessioni veloci l'offerta a livello di intrattenimento di qualità è cresciuta a dismisura, iniziando ad affossare definitivamente il fumetto popolare italiano, che fondamentalmente giace ripiegato su se stesso da decenni... E cioè da ben prima che il circuito delle edicole entrasse in crisi.

Anche perchè le dinamiche delle case editrici a conduzione famigliare di cui sopra hanno finito per influenzare progressivamente tutte le posizioni lavorative al loro interno , e così anche i professionisti che si sono guadagnati una posizione nelle (poche) case editrici che garantiscono ancora stipendi regolari, o perlomeno dignitosi, fanno di tutto per rimanere dove stanno, e il risultato è che oggi il ricambio generazionale non è un problema legato solo ai lettori... Tant'è che in buona parte del fumetto popolare italiano - anche a livello redazionale e dirigenziale, ma soprattutto a livello creativo  - non si è visto un reale rinnovamento perlomeno dagli anni Novanta. E comunque l'età media di chi lavora in questo ambiente ha continuato a crescere. Bloccando così l'afflusso di nuove idee e, soprattutto, la possibilità di creare un filo diretto con le nuove generazioni.

Quindi, se è vero che vengono "bruciati" i campi in cui il talento può crescere, forse sarebbe il caso di chiedersi - prima di tutto - chi favorisce l'incendio...

Tantopiù che, giusto per dirne una, Michele Medda sostiene che temi come i migranti, la mafia, il Medio Oriente, un’infanzia difficile, “Ho-scoperto-di-essere-gay” e tutto il resto interessano solo a una risicata minoranza di radical chic... Eppure è abbastanza difficile stabilire se questi temi sono adatti o meno al fumetto popolare, visto che generalmente in questo contesto non vengono affrontati, o comunque non vengono affrontati in maniera davvero moderna e competitiva... Come invece, ad esempio, fanno le serie TV degli ultimi anni, che INCHIODANO milioni di persone davanti alla TV (o allo schermo del computer) per ore! E tra l'altro sfruttando un'abbondantissima dose di continuity! Però bisogna considerare che Michele Medda esprime questo parere dall'alto dei suoi 57 anni...

E quindi sarebbe interessante riuscire a capire quanto il suo giudizio possa essere rappresentativo delle generazioni successive alla sua. Anche perchè, in effetti, ci sono tanti giovani autori e autrici che i grandi editori non prenderebbero mai in considerazione, ma che hanno idee molto promettenti e in linea con il pubblico di oggi... Proprio in questi giorni un anonimo lettore di questo blog mi ha fatto notare che c'è una fumettista palermitana di nome Elisa Bisignano che sta portando avanti il progetto di un fumetto a tematica gay, e che per tagliare la testa al toro ha pensato di rivolgersi direttamente ad una piccola etichetta americana e di finanziare la pubblicazione del primo capitolo del suo fumetto, Willowisp, tramite una raccolta fondi su kickstarter...

La raccolta fondi, che è andata a buon fine, rientrava nel programma editoriale del collettivo indipendente Evoluzione Publishing, e come tutti gli altri progetti di questa etichetta (a cui lavorano autori provenienti da varie parti del mondo, ma che è stata fondata a San Diego) è stato proposto direttamente in inglese... E così la saga paranormale/magica di Noah, diciassettenne gay che inizia ad avere strane esperienze - con qualche imprevisto risvolto romantico - quando si reca nella città natale della sua defunta madre, ha potuto avere inizio...

Inutile dire che di questo progetto, in Italia, non sta parlando veramente nessuno... E che ovviamente per una storia di questo tipo non ci sarebbe mai stato spazio nelle edicole italiane... Dove però si preferisce investire su una serie di idee "nuove" che nascono già vecchie e che fondamentalmente non hanno niente da dire...

Ad ogni modo penso che sia interessante notare che Elisa Bisignano è nata nel 1993... E quindi appartiene ad una generazione di autori che - al momento attuale - viene esclusa dal circuito delle edicole a prescindere... Per continuare a lasciare spazio a persone che, nella maggior parte dei casi, hanno almeno il doppio dei loro anni e ormai hanno perso del tutto il contatto con il pubblico giovanile..

E comunque, a ben guardare, lo stesso Michele Medda, quando propose Nathan Never alla Bonelli, nel 1989, aveva 27 anni... E guarda caso quando Nathan Never debuttò in edicola, nel 1991, si rivelò un grande successo...

Adesso a quanti ragazzi (o magari ragazze) di 27 anni si lascerebbe carta bianca? Magari per proporre qualcosa di innovativo e fuori dagli schemi per  un pubblico giovane? Willowisp, probabilmente, sarebbe perfetto per essere pubblicato a puntate su una rivista per centennials... Una rivista che però, al momento, non esiste... E che nessuno probabilmente ha intenzione di progettare... Perchè, a quanto pare, le riviste contenitore in Italia non funzionano più... Anche se poi nessuno si è preso la briga di analizzare i motivi per cui hanno smesso di funzionare...
D'altra parte è vero che il talento e le idee, quando ci sono, trovano comunque degli sbocchi... Anche se è davvero curioso il fatto che dalle nostre parti non si riesca a mettere a fuoco una situazione così palesemente evidente... E come si preferisca fare incagliare la nave piuttosto che farla virare finchè si è ancora in tempo...

Alla prossima.

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